“Ore 17,42: il Napoli è campione d’Italia”: nelle radioline di tutta Italia, Enrico Ameri, storico radiocronista di tutto il calcio minuto per minuto, annunciava la vittoria del Napoli, la prima vittoria e, si sa, la prima volta è sempre la più bella.
Un San Paolo bellissimo, colorato di azzurro in ogni settore, bandiere al vento e le note de o’ surdato nnammurato cantate a squarciagola da tutti gli 80.000 presenti.
Momenti indimenticabili, attimi di felicità che a distanza di trenta anni ancora fanno battere il cuore… e lo faranno sempre battere. La notte tra il 9 ed il 10 maggio 1987 ci furono televisioni private che trasmisero ininterrottamente fino alla fine della partita ed anche oltre per seguire i festeggiamenti: una maratona che sarebbe entrata nella storia, condotta da Michele Plastino e seguita da moltissime persone, perché nessuno voleva dormire, perché nessuno voleva correre il rischio di addormentarsi e scoprire, al risveglio, che era tutto un sogno.
C’erano tutti quel giorno… anche chi non c’era più: mi piace pensarlo! Dal 1926, anno di fondazione, solo due Coppe Italia: una vera miseria per una città come Napoli. Eppure lo stadio era sempre pieno e gli almanacchi dovevano registrare, ogni anno, il maggior numero di abbonati d’Italia.
Non bastarono Lauro presidente, Jeppson, Savoldi, Krol, Zoff, Juliano e tanti altri: c’era bisogno di qualcosa o qualcuno di più grande per vincere. Ci voleva il più grande ed arrivò Diego Armando Maradona nel 1984.
Più napoletano dei napoletani, più amante di questa terra rispetto a tanti suoi figli, il re del calcio capì subito che vincere a Napoli era una impresa titanica. Ancora oggi le sue parole alla fine di un incontro perso ingiustamente sono incredibilmente moderne: “noi giochiamo contro tutti… e contro tutto!”. Quanto sono vere quelle parole, Diego, ancora oggi lo capiamo.
Eppure lui non si arrese mai, non andò via, per vincere, come un Higuaìn qualsiasi, ma rimase per far sorridere quella gente che tanto lo osannava e che gli chiedeva il raggiungimento di un sogno.
Diego difese Napoli molto più di come aveva fatto l’intera Italia in 140 anni di unità e divenne, giustamente, un idolo, un re, un eroe… Il 10 maggio 1987 fu il riscatto di un intero popolo, di una città che usciva (derubata senza pietà, come al solito d’altra parte) dal terremoto dell’80; era il riscatto di una terra che ormai da oltre un secolo vedeva partire i suoi figli per andare a Torino a lavorare alla FIAT perché “ cca’ nun ce sta a’ fatica…”, lontano dalle proprie famiglie e dalle proprie origini.
Oggi, a trenta anni di distanza, sappiamo che quello scudetto non fu il motore per la rinascita di una città, ma solo una vittoria calcistica meritatissima sul campo e fuori dal campo. Il 10 maggio del 1987 lo stadio era pieno già quattro ore prima della partita: senza aver dormito, senza aver pensato ai problemi di tutti i giorni, tutti (ripeto tutti, anche chi non c’era più o rimase a casa), andarono allo stadio con la propria sciarpa e la propria bandiera per vivere finalmente il sogno tanto agognato.
E quando l’arbitro fischiò la fine della partita (1-1 contro la Fiorentina di Baggio) iniziò la festa, la più bella festa che il calcio italiano ricordi. Una notte di festa, balli, intonando i cori dello stadio per le strade, salendo sui pullman, bloccando il traffico per una intera notte: Napoli diventò una discoteca festante a cielo aperto.
E la gioia era nell’aria, negli occhi dei bambini, dei ragazzi ma soprattutto dei più anziani che avevano coltivato per anni quel sogno. Io avevo 17 anni, ricordo che in classe, per oltre tre mesi, nell’attesa di quel giorno, scomparvero le cartine geografiche dell’Italia per far posto ai poster del Napoli e di Maradona, ricordo che quel giorno di ritorno dallo stadio ballai al Vomero per tutta la notte guardando lo spettacolo delle macchine piene di bandiere che passavano. Ricordo ancora che un signore mise, a Via Scarlatti, due casse potentissime sul suo balcone e fece ballare tutti.
Ricordo anche che il giorno dopo andai al cimitero per porre un fiore sulla tomba di un mio zio che mi aveva trasmesso (insieme a mio padre) la passione per il calcio e soprattutto per il Napoli.
Glielo dovevo, avrei voluto festeggiare con lui… E fuori al cimitero si poteva leggere la scritta : “che ve site perse… ( che vi siete persi…)”.
A distanza di trenta anni, se dovessi far rivivere un giorno della mia vita ai miei figli, con molte probabilità, sceglierei quel 10 maggio 1987. Vorrei fargli rivivere quella gioia e quel sentirsi parte di un popolo unico e festante.
Chi ama non dimentica ed oggi l’intero popolo napoletano ringrazia gli artefici di quel successo, dal presidente Ferlaino a tutti i giocatori, magazzinieri, giardinieri e soprattutto ringrazia se stesso per essere unico al mondo: essere napoletani è una grande fortuna per un essere umano…
Grande Napoli, buon anniversario…
Articolo pubblicato il: 10 Maggio 2017 23:00