Bisogna correggere un’opinione secondo cui quelli che se ne vanno sono sempre i migliori. Permettetemi di contestare questa tesi. Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi“.
Peccato però che i miei tre figli – gli unici che ho – mi manchino dannatamente. Sì perché anche loro fanno parte di quella schiera di giovani che non si sono voluti piegare alle logiche di un Paese che, due volte su tre, ha privilegiato sempre i peggiori. Peggiori per capacità e onestà intellettuale e materiale.
Delle sue scuse – false, tardive e inopportune – né io, né i miei figli sappiamo cosa farcene. Poletti ha semplicemente detto ciò che pensa e ciò che lui – e perlomeno tre generazioni di politici, prima di lui – hanno fatto per rendere privo di significati l’articolo 4 della Costituzione Italiana.
Quello – casomai l’avesse dimenticato – che “riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”, e alle istituzioni (di cui Poletti è da quasi tre anni uno dei massimi esponenti) di “promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.
Prima di aprire bocca, il signor Poletti, farebbe bene a contare fino a dieci. O, meglio ancora, a non proferire parola.
Articolo pubblicato il: 20 Dicembre 2016 19:57