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23 novembre 1980: il sisma che ha cambiato il volto dell’Italia

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Carlo Farina
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Carlo Farina - cura la pagina della cultura, arte con particolare attenzione agli eventi del Teatro San Carlo, laureato in Beni culturali, giornalista.

Quarant’anni fa, il 23 novembre 1980 il disastroso sisma che colpì l’Irpinia, la Campania, la Basilicata e la Puglia, causando la morte di più di tremila persone. I soccorsi, lenti e negligenti, furono oggetto di aspre e feroci critiche.

Alle 19.34 del 23 novembre 1980, in un giorno qualunque di una domenica qualunque, soleggiata e calda, un terremoto del settimo grado della scala Richter fece tremare il Sud; l’epicentro fu localizzato nel comune di Conza in Campania e la tremenda onda sismica investì ben quattro province comprese tra Napoli e Potenza.

Per noi napoletani, piuttosto distanti dall’epicentro del sisma, quel tardo pomeriggio fu caratterizzato solo da tanta paura, perché nessuno ancora si era reso conto della gravità di tale evento naturale e l’edificio stesso nel quale vivevamo, forte e compatto, riuscì a resistere a tanta forza distruttiva, probabilmente costruito con quegli specifici criteri antisismici, che quel giorno ci risparmiò la vita.

Non fu cosi per l’Irpinia, che pagò il prezzo più alto in termini di vite umane e di distruzione di gran parte degli edifici esistenti. Infatti interi paesi furono rasi al suolo e sparirono letteralmente dal territorio, restarono solo un’enorme quantità di macerie e un sinistro e inquietante silenzio.

Mentre la paura lasciava il posto ad uno sgomento sempre più forte e scioccante, mentre ci accingevamo a trascorrere quella tragica notte nelle nostre automobili, aggrappati alle frammentarie notizie che provenivano dalle numerose radioline portatili che qualcuno di noi aveva pensato di portare con sé, centinaia di sfortunati cittadini lottavano tra la vita e la morte, sepolti vivi tra le macerie, in attesa dei soccorsi.

Purtroppo la macchina organizzativa in tal senso fallì miseramente, e coloro che si erano salvati dal sisma ma erano ancora vivi e bloccati sotto cumuli di cemento, andarono incontro ad una morte iniqua ed assurda.

Si scavava senza sosta e con affanno anche a mani nude, tutti cercavano di trarre in salvo quante più persone possibili, e qualcuno ci riuscì, ma i soccorsi furono tardivi, inadeguati e talvolta ridicoli e, dopo ore di sofferenza, non ci fu più nulla da fare. Le drammatiche immagini dei poveri cadaveri estratti dalle macerie, riempirono le pagine di tutti i giornali e dei servizi filmati dei telegiornali; una prima pagina del “Mattino” di Napoli, che ancora oggi tutti ricordano molto bene, titolò a caratteri cubitali  un disperato appello: “FATE PRESTO”; fu tutto inutile.

I morti furono tremila, diecimila i feriti e oltre trentamila i senzatetto. Subito scoppiarono le polemiche aspre e feroci, animate da un forte senso di rabbia che alimentarono l’amarezza e la disperazione dei parenti, rimasti senza congiunti e senza più un tetto sulla testa, che rivelarono ancora una volta tutto il disappunto nei confronti dei soccorsi, che arrivarono mal coordinati e in notevole ritardo. Ancora una volta la nostra cara “italietta da quattro soldi” aveva dato il meglio di sé.

Il dolore degli italiani fu incarnato dal volto segnato e sgomento del Presidente Pertini che accorse subito sui luoghi della sciagura e lanciò potente e disperato il suo terribile anatema pronunciando in tv un drammatico discorso: Non vi sono stati soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci.

Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi. Quelli che hanno sbagliato dovranno pagare. Sono ormai trascorsi quarant’anni dal quel tragico e drammatico pomeriggio, e il ricordo di quei giorni terribili è ancora vivo e presente in tutti noi, prepotente nella mente di coloro che scamparono alla morte segnando in modo indelebile un’altra pagina nera della storia d’Italia.

Centinaia di migliaia di sfollati furono sistemati in freddi e angusti container, dove rimasero per molti anni prima che la ricostruzione, lunga, difficile e “interessata” potesse restituire una casa a quei sfortunati cittadini, che per lunghi anni furono abbandonati al loro destino.

23 novembre 1980: il sisma che ha cambiato il volto dell'Italia
Il presidente Sandro Pertini sul luogo del disastro

La maggior parte della case crollate a seguito del terremoto, erano molto vecchie e non ristrutturate, inoltre i criteri di costruzione antisismici non erano stati mai applicati. Una serie di incredibili e assurde concause contribuirono ad aggravare ancor di più il tragico bilancio dei morti, dei feriti e dei senza tetto, rendendo molto più difficile il tormentato lavoro dei soccorritori che nonostante l’evidente disorganizzazione, si impegnarono per salvare quante più vite umane.

Le difficoltà che i mezzi di soccorso incontrarono per raggiungere le zone terremotate furono enormi a causa dell’isolamento geografico delle aree colpite, aggravate dal crollo di ponti e da strade di accesso impraticabili, inoltre la maggior parte delle infrastrutture come quelle per l’energia elettrica e la comunicazione, versavano in uno stato di vergognoso abbandono e la totale assenza di una “protezione civile”, favorì il decesso dei numeri sopravvissuti.

Il cospicuo numero dei senzatetto, che erano scampati alla morte, dovettero però affrontare una lunga e travagliata odissea, visto che la ricostruzione fu uno dei peggiori esempi di speculazione edilizia, un campo nel quale l’Italia si è sempre distinta con estrema e vergognosa autorevolezza, sfidando le leggi dello stato e abbracciando quelle del malaffare.

Numerose furono le inchieste della magistratura che indagarono a lungo sui loschi interessi dei fondi messi a disposizione delle zone terremotate e invece dirottati verso territori che non ne avevano diritto. Inoltre il numero dei comuni colpiti lievitò furbescamente e le infiltrazioni di carattere camorristico trovano terreno fertile, incamerando illecitamente ingenti quantità di denaro pubblico e per decenni la ricostruzione si rivelò fallace e incompleta.

Si creò una vera a propria macchina “mangiasoldi” che funzionò perfettamente, alimentando le casse di politici corrotti e compiacenti e ignobili amministratori che si arricchirono lungamente, sfruttando questa lunga scia di tragica fatalità.

I 687 comuni colpiti, di cui 542 solamente in Campania, pagarono il prezzo più alto in vite umane, e le vergognose speculazioni che ne seguirono, non rese giustizia ai sopravvissuti che dovettero adattarsi, per moltissimi anni, ad una nuova condizione di vita che li emarginò di fatto dalla società “civile”. Nessuno pagò veramente per l’inefficienza e la negligenza dei soccorsi.    

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