Si è aperta al Museo di Capodimonte la mostra denominata “Raffaello a Capodimonte: l’officina dell’artista”, a cura di Angela Cerasuolo e Andrea Zezza coordinamento indagini diagnostiche Marco Cardinali.
E’ dunque possibile visitare dal 10 giugno 2021 al Museo e Real Bosco di Capodimonte la mostra Raffaello a Capodimonte: l’officina dell’artista, un’esposizione che rientra tra le celebrazioni per i 500 anni dalla morte dell’artista e si propone di valorizzare il già preziosissimo patrimonio raffaellesco del Museo, che risulta essere molto più ricco e vario di quanto si sia soliti pensare, vista la grandiosità di questo museo famoso in tutto il mondo.
Il ricco e prezioso percorso di visita offre al pubblico le novità emerse dalla campagna di indagini diagnostiche condotte nel Museo stesso, grazie a importanti collaborazioni istituzionali – alla base di questa mostra – che permetteranno un approccio originale sia alle opere d’arte, sia al lavoro della bottega dell’artista e a quelle dei suoi seguaci, mettendo in luce il complesso lavoro che sta dietro la creazione di originali, multipli, copie, derivazioni.
La grazia di Raffaello rappresenta un momento unico nella storia della sensibilità umana e abbiamo capito grazie alla diagnostica che c’era un grande lavoro, in ogni dettaglio c’è un mondo ed è stata la tecnologia a farcelo capire. Una mostra dovuta non solo per l’importanza nel mondo di Raffaello ma anche per l’importanza di Raffaello qui a Capodimonte, per valorizzare la sua collezione – afferma il direttore Sylvain Bellenger.
Ringrazio il direttore Bellenger per averci dato la possibilità di lavorare a questa mostra che ci ha consentito di mettere insieme gli studi che stiamo portando avanti da molti anni e che ci ha dato la possibilità di lavorare con diverse istituzioni.
La cosa meravigliosa è che i risultati si sono rivelati n totale armonia per il maestro dell’armonia che è Raffaello e la ricchezza di queste opere con tutto quello che ci dicono è finalmente davanti ai nostri occhi in tutta la sua evidenza – spiega Angela Cerasuolo.
Si unisce ai ringraziamenti alla Direzione di Capodimonte e al suo staff, l’altro curatore della mostra Andrea Zezza che sottolinea anche l’importante apporto degli studenti e afferma: La collezione di Capodimonte è davvero una delle collezioni più belle del mondo, lo diceva Winckelmann nel Settecento ma col tempo sembra quasi che si sia dimenticato.
Siamo riusciti oggi a valorizzare nuovamente la collezione di Raffaello a Capodimonte e pochi musei al mondo ci avrebbero consentito di allestire con la propria collezione una mostra come questa con opere di Pinturicchio, Perugino, Andrea del Sarto, Giulio Romano, il Ritratto di fra Luca Pacioli e le opere dell’ultima sala con le meravigliose derivazioni.
Il Museo e Real Bosco di Capodimonte, infatti, conserva alcune opere autografe di grande rilevanza, che permettono di esemplificare i momenti principali della carriera dell’artista: L’Eterno e la Vergine, due frammenti della Pala di San Nicola da Tolentino (1500-1501) prima opera nota del diciassettenne Raffaello, dipinta per la chiesa di Sant’Agostino di Città di Castello, distrutta alla fine del Settecento, il Ritratto di Alessandro Farnese (1511 circa) il giovane cardinale che tanti anni dopo diventerà il potente papa Paolo III, il Mosé e il roveto ardente (1514) cartone preparatorio eseguito per l’affresco della volta della Stanza di Eliodoro in Vaticano, la Madonna del Divino Amore (1516-18) dipinto tra i più ammirati dell’artista nel corso del Cinquecento, poi caduto nell’oblìo e sottratto solo recentemente, anche grazie alle indagini scientifiche e al restauro, alla sfortuna critica in cui era caduto nel Novecento.
Ma Capodimonte conserva anche un’opera fondamentale di Giulio Romano, il principale allievo di Raffaello, la Madonna della gatta (1518-1520 ca.?), eseguita seguendo un modello del maestro, e di cui le indagini diagnostiche aiutano a comprendere meglio tanto la complessa genesi esecutiva, quanto le cause dei problemi che ne hanno resa problematica la conservazione.
Una serie di copie, derivazioni, multipli, alcune delle quali forse elaborate nella bottega stessa dell’artista (Madonna del Passeggio, Madonna del Velo), altre per mano di artisti di prima grandezza per committenti importanti – è il caso della famosa copia del Ritratto di Leone X di Andrea del Sarto – dove la nozione di ‘copia’ costeggia quella di ‘falso d’autore’, e che secondo Vasari avrebbe ingannato lo stesso Giulio Romano – o forse per esercitazione, come il San Giuseppe dalla Madonna del velo realizzato da Daniele da Volterra.
Queste, assieme ad altre realizzate da più meccanici copisti (Madonna Bridgewater) permettono di esplorare ad ampio raggio questo tipo di produzione, che costituiva larga parte dell’opera delle botteghe del Cinque e del Seicento e che oggi forma una parte enorme, anche se spesso trascurata, del nostro patrimonio artistico. Dal 2018 il Museo e Real Bosco di Capodimonte ha avviato una importante campagna di indagini diagnostiche sui dipinti delle sue collezioni.
Le indagini sui dipinti di Raffaello e del suo ambito sono parte di un programma di collaborazione ampio che include il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università della Campania Vanvitelli e il LAMS (Laboratoire d’archéologue moléculaire et structurale) di Parigi e che ha visto recentemente la partecipazione scientifica dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (ISPC) del CNR e i Laboratori Nazionali del Sud (LNS) dell’INFN di Catania ed l’Istituto di Scienze e Tecnologie Chimiche del CNR (SCITEC) di Perugia.
Il nucleo di opere raffaellesche del Museo di Capodimonte, visibile nella seconda sala di mostra, può dare un’idea della straordinaria versatilità dell’artista, del suo continuo sperimentare e del lungo cammino percorso nella sua breve e folgorante carriera che lo portò, nell’arco di vent’anni, ad aprire strade nuove in ognuno dei generi artistici che praticò, come si potrà osservare nei frammenti Eterno Padre e Vergine della perduta pala d’altare Incoronazione del Beato Nicola da Tolentino, nel Ritratto del cardinale Alessandro Farnese, nel Mosé davanti al roveto ardente cartone preparatorio eseguito per l’affresco della volta della Stanza di Eliodoro in Vaticano e nella Madonna del Divino Amore dipinto tra i più ammirati dell’artista nel corso del Cinquecento presentato in sala accanto al disegno preparatorio conservato nel Gabinetto Disegni e Stampe del Museo e Real Bosco di Capodimonte.
Di assoluto interesse per i visitatori e gli studiosi la ricostruzione in sala della pala d’altare perduta qui proposta, nella sua integrità, sulla base dei disegni preparatori di Raffaello, su una copia parziale realizzata dopo la vendita e da osservazioni su elementi figurativi e materiali desumibili dai frammenti, come la dimensioni delle assi del supporto, le proporzioni delle figure, la costuzione prospettica dello spazio. L’Incoronazione di San Nicola da Tolentino, infatti, è la prima opera realizzata da Raffaello insieme a Evangelista da Pian di Meleto, già collaboratore del padre, per Città di Castello.
Nei documenti Raffaello, diciassettenne, viene già definito “magister”. Nel 1789 la pala, danneggiata da un terremoto, fu venduta a papa Pio VI e ridotta in piccoli quadri. I due frammenti conservati a Capodimonte – Eterno Padre e Vergine – furono acquisiti a Roma nel 1799 per le collezioni borboniche, senza più memoria della loro provenienza, ricostruita solo nel 1912 con l’identificazione di un Angelo conservato a Brescia e dei frammenti napoletani, a cui si è poi aggiunto un Angelo acquistato dal Louvre nel 1981. E che dire della Madonna del Divino Amore?
Oggi è ritenuta un capolavoro di Raffaello, dopo il restauro e le indagini che hanno rivelato novità tra le più spettacolari negli studi degli ultimi decenni. Dal Cinquecento all’Ottocento era stato considerato uno dei dipinti più preziosi della collezione Farnese, ammiratissimo e continuamente copiato.
Poi però la critica lo aveva declassato, attribuendolo alla bottega; su questa decisione molto aveva influito la convinzione che il grande disegno conservato a Capodimonte fosse un cartone preparatorio, utilizzato per trasferire i contorni sulla tavola. Ma le indagini hanno chiarito che si tratta di una copia, poiché riproduce ogni dettaglio del dipinto finito. La riflettografia ha invece rivelato sulla tavola, al di sotto della pellicola pittorica, un disegno preparatorio con cui Raffaello ha apportato importanti modifiche alla composizione nel corso dell’esecuzione pittorica con un tratto straordinariamente libero e creativo.
Ancor prima della morte del loro autore, le composizioni di Raffaello venivano copiate e replicate. Ciò avveniva innanzitutto all’interno della sua bottega che egli aveva consapevolmente trasformato in una squadra in grado di promuovere e diffondere le sue invenzioni. Per questo il concetto di ‘copia’ in Raffaello è ricco di significati diversi, dalla replica alla contraffazione. Nella prima eccellevano i suoi stessi allievi, autorizzati a possedere ‘il marchio di fabbrica’, nella seconda si sfidavano seguaci e artisti anche di massimo livello.
La duplicazione delle sue opere sarebbe proseguita nei secoli per la rapida elevazione del ‘divin pittore’ al rango dei modelli dell’antichità. Nell’ultima sala della mostra sono riunite le opere significative di quella straordinaria fortuna che le collezioni del Museo e Real Bosco di Capodimonte possono documentare nella loro varietà, a cominciare dalla Sacra Famiglia con Sant’Anna e San Giovannino, detta Madonna della gatta di Giulio Romano, principale allievo di Raffaello.
Nell’ultima sala del percorso espositivo ci sono altre opere, tutte ritenute copie da composizioni di Raffaello ben note, ma molto diverse tra loro: la Madonna del Passeggio, la Madonna di Loreto (o del velo) e la Madonna “Bridgewater”. Le indagini e il restauro della Madonna del Passeggio hanno evidenziato un’opera dipinta in modo accurato e diligente con materiali e metodi non diversi da quelli usati nella bottega di Raffaello.
Le indagini hanno rivelato poi punti di contatto con il dipinto ritenuto ‘originale’ oggi a Edimburgo, soprattutto con il disegno sottostante reso visibile dalla riflettografia, mentre tra i due quadri finiti ci sono analogie e varianti significative. Ciò porta a pensare che si tratti di una replica, di un secondo esemplare portato avanti da un collaboratore in modo parallelo all’‘originale’. Le altre due opere esposte in mostra, invece, mostrano chiaramente nel disegno sottostante un procedimento meccanico di trasposizione, più libero in un caso (Loreto o del velo), più pedissequo nell’altro (“Bridgewater”).