Scritta da Eduardo Scarpetta con lo scopo di farvi partecipare il figlio di otto anni Vincenzo, “Miseria e Nobiltà” andò in scena per la prima volta l’otto gennaio del 1888 al teatro Il Fondo (poi Mercadante).
Una commedia capace di interessare anche Benedetto Croce, il quale, al lavoro dedicò addirittura un saggio pubblicato nella “Critica” del giugno 1937 e che oggi nelle mani del regista Luciano Melchionna, al suo ritorno in scena al Teatro Augusteo, pone subito in primo piano il tema riguardante l’attualità dell’autore. Così, tenendo ben fissate in mente la ripresa storica di “Miseria e Nobiltà” ad opera di Eduardo De Filippo, avvenuta nel 1953 e il multicelebrato film del 1954 diretto da Mario Mattoli, a proposito della riedizione dello stesso regista di quei “Parenti serpenti” in teatro, occorre subito farsi due domande.
La prima: riguardante la capacità del teatro comico di tradizione napoletano di conservare ancora la natura eversiva del riso popolare da cui proviene e la seconda: nel caso della messinscena giunta all’Augusteo dopo il lontano debutto pre-covid, riguardante l’attitudine a rispettare quella forza rivoluzionaria contenuta nel testo vista in senso antropologico e non certamente politico.
Premesso questo, nel teatro di piazzetta duca d’Aosta con l’espressivo e convincente Massimo De Matteo nei panni del protagonista Felice Sciosciammocca (personaggio affidato nella precedente edizione a Lello Arena, lo stesso che con il regista Melchionna firma l’adattamento del testo) il lavoro diventa persino ideologico e concettuale creando un violento scontro tra le classi sociali della nobiltà e della borghesia arrogante e gli ideali poetici, intellettuali e psicologici di chi ha smarrito del tutto l’identità.
Detto questo, senza dimenticare che oggi, in teatro, la gente vuole principalmente ridere, è stato compito degli altri attori, Raffaele Ausiello, Chiara Baffi, Marika De Chiara, Andrea De Goyzueta, Renato De Simone, Valentina Elia, Alessandro Freschi, Luciano Giugliano, Irene Grasso, Raffaele Milite, Fabio Rossi e Ingrid Sansone aggiungere una quota comica e moderna all’opera e far rivivere anche nel presente un teatro del passato.
Dal canto suo, Melchionna, con piglio visionario e con la sua scenografia realizzata da Roberto Crea pronta a condurre il pubblico in una miseria crudele e a dir poco tenebrosa, offre al lavoro, sia pure declinato a 360 gradi, un comune denominatore chiamato fame. Con i personaggi che si aggirano nei loro ristretti spazi come ratti alla disperata ricerca di cibo e con il passaggio dallo sporco e buio di angusti anfratti al bianco di un grande palazzo, tutta la messinscena si trasforma in un’analisi dei valori umani e in un momento di coraggiosa innovazione per un teatro fatto comunque di emotività e cultura.