Eugenio Filograna: l’imprenditore ed ex senatore interviene a proposito dell’esodo da parte dei giovani.
“Lo Svimez parla di esodo dal Sud. Mi chiedo quando intendiamo affrontare il tema dell’esodo dall’Italia… Dispiace sentir parlare di spesa pubblica tra le cause e ancora di rapporto nord/sud in un mondo globale”. Ha l’amaro in bocca di chi sa di aver vissuto appieno i 16 anni della ricerca e oltre nella storia, non solo economica del nostro Paese, il salentino di nascita Eugenio Filograna, milanese di adozione, con uno degli studi professionali più accorsati e qualificati sul piano internazionale. Già Senatore della Repubblica, Filograna investe in diversi settori economici al Nord quanto al Sud e si distinse all’inizio del duemila per il tentativo di salvataggio di Postal Market, avendone visto tutte le potenzialità che avrebbero poi determinato il successo di Amazon. Un salvataggio di fatto impedito dal sindacato. “Intervengo oggi nel dibattito che parla di esodo dal Sud perché sono molto deluso dalle analisi. La colpa appare quasi della statistica, della spesa pubblica che manca. E magari più di qualcuno potrà nelle prossime settimane giustificare l’arrivo di nuovi giovani nordafricani con il crollo della natalità degli italiani. No. Iniziamo a dire le cose come stanno? Tre giovani under 30 su quattro lascerebbero l’Italia per cercare un lavoro all’estero. Lo abbiamo letto a chiare lettere pochi giorni fa su un report del Global Talent di Boston Consulting Group: migliori opportunità di carriera, l’allargamento degli orizzonti personali, l’arricchimento del curriculum, la conoscenza di una cultura diversa e il miglioramento degli standard di vita. Forse non è chiaro che si cerca un buon equilibrio vita-lavoro, un valido rapporto con i superiori, formazione, training e un clima sereno con i colleghi? Lo stipendio non è più una priorità per gli italiani.
E questo sarebbe molto in linea con chi come me aveva intuito che occorreva coraggio per offrire in alcune aree del paese lo stesso lavoro più retribuito e in altre meno. Lo chiamavamo gabbie salariali. Brutta espressione. Ma già si fa. Già si deve fare. Ma pare che in Italia non sappiamo costruire una verità condivisa sulla scorta delle notizie che pure ascoltiamo. Ad esempio, vi propongo una riflessione tra le notizie degli ultimi dieci giorni. I lavoratori di Campione sono senza stipendio. Casinò fallito. Comune in dissesto. Quale sarà l’uscita se non la riduzione dello stipendio? Perché un chilo di pane a Campione deve costare 8 euro? Ancora ieri abbiamo certificato il valore di questo dato di ricerca sui giovani e la carriera e il lavoro con il “Nobel” della matematica ad Alessio Figalli: per fare il professore universitario, non essendo né figlio né nipote di accademico, è un altro italiano, colto e preparato in Svizzera”.
“In estrema sintesi – prosegue un convinto quanto appassionato Eugenio Filograna – non volendo sentirmi Cassandra sin dai tempi di costituzione di Ameco e Workforce rispettivamente centro studi e agenzia del lavoro, avevo intravisto e suggerito una via d’uscita nel fare e non più enunciare la semplificazione normativa, rendendo il territorio attraente e inserendo flessibilità nel mercato del lavoro. Non basta ridurre il cuneo fiscale, ma rendere lo stato efficiente. Capisco che possa richiedere tempo. Perciò occorre visione e coraggio, opzionando un taglio di stipendi a fronte di una politica industriale vera.
Superando le logiche della spesa pubblica che hanno finito per drogare al Sud quanto al Nord una classe imprenditoriale diventata famelica e vorace solo di prebende. Guardiamo invece a chi ce l’ha fatta e sono i tanti. A chi è rimasto al Sud vincendo tantissimi sovra costi ambientali e chi al nord superandone anch’esso tanti, rendendo la propria azienda competitiva ed internazionale. Solo così avremmo diritto di celebrare e piangere manager coraggiosi e visionari come Marchionne capaci di rendere internazionali le nostre capacità produttive e di impresa”.
“Lo Stato deve lasciare l’opzione al lavoratore, svantaggiato secondo le direttive comunitarie, di autoridursi lo stipendio sino al massimo del 30% del contratto collettivo” – conclude senza mezzi termini Eugenio Filograna, che muove rilievi precisi al sindacato, in particolare alla Cgil. “Esiste da molto tempo la direttiva comunitaria che individua, con elenco preciso e dettagliato, la categoria degli svantaggiati. Era previsto anche nella legge Biagi, all’articolo 13, cancellato poi dalla Fornero, su pressione fortissima della Cgil. In questo modo non si avrebbe necessità di ridurre il cuneo fiscale e contributivo, e si ridurrebbe enormemente il numero dei disoccupati. A costo zero lo Stato garantirebbe opportunità di lavoro, riduzione del costo del lavoro a favore delle aziende e, conseguentemente si otterrebbe maggiore competitività dei prodotti e servizi nazionali. È una formula semplice e di facile applicazione che ha solo un difetto: contrapporsi alla rigidità del contratto collettivo nazionale sostenuto soprattutto dalla Cgil”.