Alzheimer, allo studio un nuovo test per diagnosticare la malattia 16 anni prima della comparsa dei sintomi.
Quando compaiono i sintomi tipici dell’Alzheimer, la degradazione delle cellule nervose è cominciata già da molti anni.
Oggi, grazie alla scoperta di una una proteina filamentosa, chiamata Nfl, che fa parte della struttura interna dei neuroni, è possibile gettare le basi per riuscire ad agire in modo più efficace contro questa malattia devastante.
In caso di danno o morte delle cellule nervose, infatti, l’Nfl fuoriesce nel liquido cerebrospinale che avvolge cervello e midollo spinale, passando poi nel sangue.
Un test che ne riconosca la presenza, permetterebbe di monitorare la progressione della morte dei neuroni molti anni prima della comparsa dei sintomi classici della malattia, come la perdita di memoria. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Medicine.
La scoperta
La diagnosi precoce di alcune malattie – dall’Alzheimer a diversi tipi di tumori – attraverso un esame del sangue è la direzione in cui si sta muovendo la ricerca medica.
Per quanto riguarda l’Alzheimer, gli studi passati cercavano nel sangue la proteina beta amiloide, un marcatore specifico dell’Alzheimer, che si accumula nel cervello di chi sviluppa la malattia.
La nuova ricerca si è concentrata su un elemento diverso, una proteina chiamata catena leggera del neurofilamento (Nfl), liberata nel sangue alla morte dei neuroni e particolarmente resistente alla degradazione.
Gli scienziati dell’Ospedale Universitario di Tubinga (Germania), della Scuola di Medicina dell’Università di Washington a St. Louis e di altri enti hanno analizzato i dati e i campioni di sangue di 405 pazienti coinvolti in uno studio internazionale – il Dominantly Inherited Alzheimer Network – che include famiglie in cui alcune rare varianti genetiche causano una forma giovanile di Alzheimer, facilmente prevedibile.
I ricercatori hanno monitorato i livelli di Nfl anno per anno. Già 16 anni prima dei sintomi dell’Alzheimer, nei pazienti predisposti alla malattia sono stati rintracciati cambiamenti nel livello della proteina, che riflettevano la degradazione dei neuroni in modo molto accurato e annunciavano con una certa precisione l’esito che avrebbero dato le immagini strumentali.
Dai controlli del neurofilamento è stato possibile anticipare la perdita di massa cerebrale che sarebbe apparsa, nelle immagini del cervello, due anni dopo.
A risultare predittiva non è tanto la concentrazione della proteina, ma la sua crescita nel tempo. Inoltre, se la variazione del neurofilamento era collegata alla morte neurale, meno evidente è parso il collegamento con i livelli di proteina amiloide, misurati come parametro di controllo: la conferma che, anche se la beta amiloide è tra le caratteristiche tipiche della malattia, non è la causa della degradazione dei neuroni.
I risultati andranno replicati sulle forme di Alzheimer più comuni, cioè quelle dell’età avanzata; andrà anche stabilito di quanto debba salire il livello del neurofilamento e in quanto tempo, per avere un criterio diagnostico affidabile.
C’è ancora tanta strada da fare
Molte altre condizioni neurologiche possono liberare l’Nfl, che cresce anche nell’organismo di persone con altre forme di demenza, con sclerosi multipla o che hanno subito un trauma cerebrale: trovarne un incremento non è dunque un predittore esclusivo della malattia di Alzheimer. Occorreranno quindi ancora diversi anni prima che un test certificato possa arrivare negli ospedali ed essere disponibile per i pazienti.