Critica&Teatro

Al Bellini con Ferdinando secondo Arturo Cirillo

Al Teatro Bellini la commedia cult della Nuova Drammaturgia Napoletana: “Ferdinando”. Grazie alla visione del regista, Arturo Cirillo, la messinscena ha puntualmente messo in luce il decadimento morale di una società allo sbando proiettata verso il dolore ed il degrado.

Tornano alla ribalta le creature di Annibale Ruccello, le stesse che, insieme a una spiccata tendenza noir, deliri mentali e degenerative solitudini, hanno dato forma al Teatro Bellini alla commedia cult della Nuova Drammaturgia Napoletana: “Ferdinando”.

Grazie alla visione del regista, Arturo Cirillo, nei panni di quel don Catello che fu dello stesso Ruccello, la messinscena ha puntualmente messo in luce il decadimento morale di una società allo sbando proiettata verso il dolore ed il degrado. Con la protagonista donna Clotilde interpretata da una trascinante Sabrina Scuccimarra e con l’emblematica donna Gesualda impersonata con persuasivo intimismo da Anna Rita Vitolo, l’ultima opera di colui che seppe mettere in luce un profondo studio della lingua e dei cambiamenti culturali e sociali, ha ben riproposto l’investigazione di un autore pronto ad offrire moderni temi di rinnovamento alla drammaturgia italiana.

Riconfermando lo spessore metaforico di personaggi senza tempo per una scrittura possente, tragica e minimale, il lavoro di Ruccello, andato in scena per la prima volta al Teatro Comunale di San Severo (Foggia) il 28 febbraio del 1986 su regia dello stesso autore, al Teatro Bellini, ha visto all’opera anche il giovane Riccardo Ciccarelli alle prese con il giovane Ferdinando. Vera protagonista della storia, donna Clotilde, è una baronessa legata al regno borbonico che a dieci anni dall’arrivo dei Savoia vive in ritiro insieme con la cugina Gesualda in una villa vesuviana.

Esprimendo la voglia di sopravvivenza di una razza in via d’estinzione, la nobildonna, difende come emblema dell’amato Regno delle Due Sicilie, la lingua, tant’è che rinnegando l’uso dell’ italiano “Na lengua straniera! Barbara! E senza sapore, senza storia”, fa sfoggio di arcaici virtuosismi verbali tutti partenopei. Tra sfide psicologiche e desideri repressi e ancora, tra ambiguità, carnalità e bisogni d’amore, alla fine, tuttavia, verrà sopraffatta da un giovane imbroglione di nome Ferdinando, alias Filiberto che irrompendo nella sua casa fingendosi il nipote, distruggerà tutti i precari equilibri.

Scivolando nel letto di Clotilde ed in quello dell’altra esiliata Gesualdina e addirittura, conquistando le morbose attenzioni del corrotto e vizioso curato don Catello, il ragazzo finirà con il simboleggiare una nuova generazione senza radici e senza sentimenti. Inducendo donna Clotilde e Gesualda all’uccisione del religioso, Ferdinando, alla fine, mirando alla cassetta di gioielli furtivamente appartenuta alla baronessa Clotilde, metterà in luce il male di un mondo alla deriva.

Nella versione del regista Cirillo, dinanzi al pubblico si è presentato uno spettacolo capace, tra evoluzioni storiche e ossessioni di vita, di evidenziare i temi della solitudine, dell’emarginazione e del disfacimento della società borghese. Ripercorrendo il doloroso percorso delle crudeli ma fragili Clotilde e Gesualdina e disegnando le interiorità dello sfortunato don Catello e del sedicenne Ferdinando, il lavoro in oltre due ore senza intervallo ha portato in scena il patimento di esseri perseguitati dalle sventure terrene e la debolezza di chi cela dietro la cattiveria un devastante martirio interiore.

Perfetto quadro di un dramma sospeso sull’antico contrasto tra la purezza e l’immoralità, l’umanità e l’ egoismo, la vita e la morte, “Ferdinando”, ha confermato la profondità di un teatro colto e carico di contenuti.

Articolo pubblicato il: 13 Dicembre 2023 16:15

Giuseppe Giorgio

Caporedattore, giornalista professionista, cura la pagina degli spettacoli e di enogastronomia