martedì, Maggio 13, 2025

Al Bellini con Fotofinish, Rezza tra teatro e sopraffazione

Al Teatro Bellini in scena “Fotofinish”, lo spettacolo di Antonio Rezza e Flavia Mastrella. Un’esperienza teatrale che scivola tra la genialità e la follia, sospesa nell’illusione di un tempo che si consuma nel caos. Ma è proprio qui che sorge la domanda: dove finisce l’arte e dove inizia l’abuso della sensibilità del pubblico?

Al Teatro Bellini è approdato “Fotofinish”, lo spettacolo di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, con l’apporto di Manolo Muoio. Una performance che con l’attore, regista e scrittore novarese mattatore in scena, pur riproponendo dinamiche ormai note dal 2003, continua a scatenare interrogativi e riflessioni tra gli spettatori, vittime consapevoli e inconsapevoli della furia creativa dell’artista.

L’universo di Rezza si conferma un vortice di disfunzioni psichiche, un fiume di parole senza briglie, un’isola architettonica di stoffa e metallo in cui il protagonista vaga alla ricerca di un senso, illudendosi di trovarlo nell’atto fotografico. Un’azione apparentemente innocua che si dilata in un delirio progressivo, trasformandolo di volta in volta in un candidato politico, un lavoratore delle torri gemelle, un paziente di un policlinico mobile, fino a una grottesca donna nuda, dove il sesso si annulla tra le gambe serrate.

Al Bellini con Fotofinish, Rezza tra teatro e sopraffazione
Antonio Rezza al Bellini

Un’esperienza teatrale che scivola tra la genialità e la follia, sospesa nell’illusione di un tempo che si consuma nel caos. Ma è proprio qui che sorge la domanda: dove finisce l’arte e dove inizia l’abuso della sensibilità del pubblico? Se il gioco di Rezza è quello di una dissacrante messa a nudo della solitudine, il suo modo di imporsi sulla platea sembra avvicinarsi più alla prevaricazione che alla provocazione.

Gli spettatori vengono prelevati – tra loro donne mature e ragazze incinte – e trascinati dietro le quinte per poi riapparire come corpi esanimi, vittime di una carneficina scenica scandita dall’ascolto di un violento sparo per ogni persona. E mentre il performer si aggira tra loro con l’organo genitale ben in vista, deridendole e palpeggiandone le natiche, il pubblico si trova intrappolato tra l’ammirazione per il coraggio artistico e il disagio di un confine etico sfocato. C’è chi ha riso, forse per conformismo, forse per non apparire troppo rigido dinanzi all’anarchia teatrale di Rezza.

Ma c’è anche chi è rimasto visibilmente turbato, specialmente dopo l’ulteriore trovata dei petardi esplosi sotto le poltrone. Se la genialità è libertà assoluta, può essa calpestare la volontà dello spettatore? Se tutto è concesso all’artista, lo è altrettanto a chiunque altro? E soprattutto: può un pubblico ignaro diventare carne da performance senza il consenso formale che dovrebbe garantire ogni esperienza teatrale? “Fotofinish” lascia queste domande sospese nel vuoto, un vuoto che Rezza abita con sfrontatezza, tra il riso isterico e l’inquietudine più profonda.

Ma alla fine, forse il vero spettacolo non è sul palco, bensì in platea: nel volto di chi ride senza capire, di chi applaude senza sapere perché, di chi si alza e se ne va con la sensazione di essere stato parte di qualcosa di grande o di assurdo. Il teatro, si dice, deve scuotere le coscienze. Ma quando il confine tra arte e sopraffazione si assottiglia pericolosamente, resta solo una certezza: che non tutto ciò che lascia il segno è necessariamente un’esperienza memorabile.

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