Al Piccolo Bellini, la tradizione teatrale napoletana torna a risplendere con una forza nuova e singolare grazie alla visione di Roberto Capasso con la commedia “Don Felice Sciosciammocca.
Nel cuore del Piccolo Bellini, la tradizione teatrale napoletana torna a risplendere con una forza nuova e singolare grazie alla visione di Roberto Capasso. Con “Don Felice Sciosciammocca creduto guaglione ’e n’anno”, lavoro immortale di Antonio Petito, Capasso non si limita a dirigere, ma indossa i panni del protagonista, trascinando lo spettatore in una dimensione sospesa tra realtà e sogno.
La messinscena, frutto della terza prova registica di Capasso, si distingue per la capacità di trasfigurare i confini del teatro comico popolare, innestandolo in una prospettiva quasi metafisica. Con un’estetica che sembra evocare i toni misteriosi e affabulatori di un racconto antico, il regista rielabora la farsa di Petito in chiave universale, trasformando un semplice intreccio comico in un’indagine sull’animo umano.
L’interpretazione di Capasso nel ruolo di Don Felice si intreccia con quella di Nello Provenzano nei panni di Pulcinella, personaggio qui dipinto nella veste di uno “scarparo” vedovo e burbero, che custodisce nel suo cuore una Napoli ormai relegata nei ricordi.
A completare il cast, Miriam Della Corte e Valentina Martiniello aggiungono una buona dose di intimismo che bilancia perfettamente la profondità delle tematiche. L’opera si apre con un prologo visionario: una rappresentazione mimica, quasi silenziosa, che trasporta il pubblico in una dimensione avulsa dal tempo. È un teatro che si spoglia delle parole per esaltare il gesto, il simbolo, il sentimento.
Ma è nella progressione verso l’irrazionale e il surreale che la regia di Capasso raggiunge il suo apice, tratteggiando una realtà superiore, fatta di suggestioni e sogni, dove ogni movimento e ogni battuta sembrano eco di una verità nascosta. Sull’onda delle musiche portanti che vanno dalla “Ciarda” la popolare danza ungherese a quel “I Married an Angel” del trombettista statunitense Chet Baker, la vicenda di Don Felice, che arriva a sostituirsi a un infante per amore, diventa così il pretesto per un confronto epocale tra Pulcinella e Sciosciammocca: il primo, simbolo di una tradizione antica ma logorata, e il secondo, incarnazione di una modernità irriverente e ribelle.
Capasso riesce a far emergere il senso di questo incontro-scontro, dando nuova linfa a un repertorio che rischiava di cadere nell’oblio. La scenografia di Giorgia Lauro essenziale ma evocativa, accompagna lo spettatore in un viaggio immaginifico, mentre i costumi di Sara Portolano restituiscono con fedeltà le atmosfere dell’epoca, amplificando il contrasto tra tradizione e innovazione. Con questa produzione, Roberto Capasso non solo rende omaggio alla grandezza di Petito, ma ne rinnova il messaggio, rendendolo vivo e vibrante per il pubblico contemporaneo.