Una delle opere più apertamente drammatiche, tra quelle composte nel periodo della maturità, “La Dama di Picche” fu per Pëtr Il’ič Čajkovskij, la certezza di aver “scritto un capolavoro” che viene giustamente annoverato tra i più grandi del teatro operistico mondiale, titolo scelto non a casa dal Teatro San Carlo al quale viene affidato il compito di inaugurare una delle Stagioni culturali, più importanti per la città di Napoli.
Un titolo che mancava ormai da tempo dal palcoscenico del Massimo napoletano, favorendo la scelta di tale ed opportuna, proposta. Sul podio dell’Orchestra e del Coro del San Carlo ci sarà Juraj Valčuha, il Direttore Musicale del Teatro San Carlo, che dirigerà la prima opera in cartellone, nella messa in scena curata da Willy Decker, in una produzione della Staatsoper di Amburgo, e ora rappresentata per la prima volta in Italia.
Il Coro, molto importante in questo lavoro di Čajkovskij, è sempre affidato nella mani esperte di Gea Garatti Ansini. Si tratta, aggiunge Valčuha, di un’opera vocale dai tratti anche molto sinfonici, che viene paragonato ad un “farmacista”, per la precisione della sua scrittura musicale. Infatti, fin dall’inizio, è tutto programmato con estrema maestria, visto che Čajkovskij crea un quintetto composto dai cinque personaggi principali, le due donne, i due innamorati e lo Tomskij, che sono posti tutti allo stesso modo, alla nostra attenzione.
Tutta l’opera ruota intorno al segreto delle tre carte, il cui motivo conduttore, viene ripreso per ben tre volte, dall’orchestra. La scrittura che ritroviamo all’interno della complessa e lunga partitura, è ricca di citazioni, che ci riportano al genio di Mozart, un autore molto amato dallo stesso Čajkovskij, che con questo lavoro conferma la sua natura di compositore “europeo”.
Infatti, è considerato, non a caso, l’autore russo più occidentale del vasto panorama lirico/sinfonico, mondiale. Una Dama di picche, quella dello straordinario regista tedesco, che ha voluto imprimere alla stessa, un con taglio quasi cinematografico, soffermandosi sulle complesse figure del dramma.
Lo spazio – disegnato insieme ai costumi da Wolfgang Gussmann – dove colloca i singoli personaggi risulta essere grande, vuoto e quasi desolato con una ambientazione claustrofobica. “Hermann, il protagonista – spiega Decker – si sente come di vivere in una prigione. È incapace di modificare la sua condizione, stritolato fra una irrealizzabile bramosia di vita e l’odio crescente verso di essa. In questa spaventosa tenebra spirituale il gioco delle carte gli appare come un miraggio, una distorta e seducente promessa.
E’ povero e deve giocarsi il tutto per tutto. Non può puntare del danaro e allora punta su sé stesso, gioca per la vita o la morte. Hermann diviene, in questo modo, il prototipo per eccellenza dell’essere umano, che gioca il suo destino per la vita e la morte e, alla fine, perde sempre.
Lo stesso Čajkovskij vedeva la vita come un outsider. Come omosessuale nella società zarista doveva cancellare amore e sessualità dalla sua esistenza, il desiderio di liberare la sua personalità e quello della felicità rimasero per lui sempre inappagati. La condizione di Hermann è sostanzialmente la stessa ma solo con indicatori diversi.
L’outsider e il suo posto in questo mondo è uno dei temi principali di Čajkovskij. Con “La Dama di Picche” e, soprattutto, con la figura di Hermann, l’autore ritorna su questo tema con cui identificarsi e lo porta a scrivere l’opera forse più radicale e sicuramente più moderna della sua produzione”.
Ispirato al racconto omonimo di Aleksandr Puškin, La Dama di picche fu scritto da Čajkovskij su libretto (nonché su suggerimento) del fratello Modest, in appena sei settimane proprio in Italia, a Firenze, in un anonimo e sobrio hotel sui lungarni, tra passeggiate alle Cascine e qualche visita agli Uffizi.
Anche la sua orchestrazione fu completata in altre sei settimane, per debuttare il 19 dicembre 1890 (il 7 dicembre secondo il calendario ortodosso), al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. In Italia, arriva nel 1906 alla Scala di Milano.
Cast di cantanti di prim’ordine saranno impegnati in quest’opera che si replica sino al 15 dicembre. Misha Didyk e Oleg Dolgov si alterneranno nel ruolo di Hermann, Tómas Tómasson, invece sarà il conte Tomskij, insieme a Maksim Aniskin che vestirà i panni del principe Eleckij, Liza avrà le voci di Anna Nechaeva e Zoya Tsererina e La contessa quella di Julia Gertseva.
La presenza inoltre del direttore del Mann, Paolo Giulierini, alla conferenza stampa di presentazione di vista mattina, ha testimoniato l’inizio della preziosa sinergia tra il Museo Archeologico Nazionale di Napoli ed il Teatro San Carlo che, proprio in occasione dell’opera Pikovaja Dama -La Dama di Picche, sarà in mostra temporanea al Lirico napoletano il prezioso reperto con testa femminile appartenente alle collezioni del MANN.
La scelta del capolavoro in esposizione non è casuale, infatti, il pregevole rilievo proviene da Palmira ed è databile tra la fine del II secolo d.C. ed i primi decenni del III secolo d.C. L’opera, verosimilmente, doveva completare un monumento funerario, del tipo a camera ipogeico o a torre.
A destra del volto, da riferirsi alla defunta, si scorgono le tracce di un’iscrizione in aramaico palmireno. Se la vicenda di un antico reperto permette di ricollegare, ancora una volta, la storia passata a quella presente (il precoce interesse per il sito di Palmira ci spinge a lanciare un monito sempre attuale per la tutela del patrimonio culturale in aree di crisi), è il fil rouge tra storia, arte e musica ad avvicinare il MANN al San Carlo.
Inoltre, un legame ideale, unisce i due importanti istituti, le cui origini risalgono alla brillante e costruttiva politica culturale di Carlo III di Borbone. Infatti, non a caso, ad appena un anno di distanza dalla fondazione del Teatro che porta il suo nome, nel 1738, il sovrano si fece fautore degli scavi che identificarono a Resina il sito dell’antica Ercolano, portando per prime alla luce, proprio le strutture della scena del teatro.
Il decennio successivo vide la volta di Pompei. Lo stesso Mozart, nel 1770, visitò Pompei e l’Herculanense Museum di Portici, ricavandone probabilmente le suggestioni che sarebbero riemerse più tardi con la composizione del “Flauto magico”. Parte integrante dell’azione di Carlo III, ripresa poi dal figlio Ferdinando, fu proprio la costruzione museografica, che si concentrò dapprima presso le residenze reali di Portici e Capodimonte per poi identificare nel Palazzo degli Studi di Napoli la sede di quello che sarebbe diventato il Real Museo Borbonico nel 1816, oggi Museo Archeologico Nazionale.
Inaugurazione
Mercoledì 11 dicembre ore 20.00
venerdì 13 dicembre 2019, ore 20.00 – Turno C/D
sabato 14 dicembre 2019, ore 19.00 – Turno B
domenica 15 dicembre 2019, ore 17.00 – Turno F
Articolo pubblicato il: 10 Dicembre 2019 8:00