Poche parole, modi gentili, sguardo diretto e sorrisi: si presenta così il neo questore di Napoli, Alessandro Giuliano, nel corso del suo primo incontro con la stampa, nel giorno dell’insediamento negli uffici di via Medina. Non ha alcuna voglia di “discettare” e di abbandonarsi “ad analisi e riflessioni approfondite” su “temi complessi”, perché si dice “convinto che un uomo dello Stato non debba farlo, non lo ritengo giusto”. Esordendo con questo ragionamento, con garbo ma con fermezza, respinge tutte le domande che, al momento, per lui sono troppo tecniche o estremamente specifiche.
In arrivo dallo Sco e da un serie di importanti ruoli investigativi, il questore siciliano torna nel capoluogo campano dove, venti anni fa, era stato in servizio alla Squadra mobile: “Non mi sentirete parlare di indagini, non lo facevo quando ero investigatore e non lo farò adesso – chiarisce – A Napoli ci sono stato per due anni, la conosco ma non benissimo. Ho lavorato qui e l’ho frequentata da turista perché è una città meravigliosa e sono convinto che la stragrande maggioranza dei napoletani siano persone perbene”.
Dopo aver ringraziato il capo della polizia per averlo “ritenuto adatto a un incarico così importante” aggiungendo che è “un onore essere il questore di Napoli”, Giuliano usa parole di elogio nei confronti del suo predecessore, Antonio De Iesu: “Un grande poliziotto che conosco da anni. So che mi lascia un fardello, ma anche la tranquillità di lavorare con grandi professionisti, colleghi straordinari in un ufficio di eccellenza”.
Pur non entrando nel merito delle vicende partenopee, il nuovo numero uno dei poliziotti napoletani sottolinea che la questione della criminalità mafiosa “non può essere risolta con ricette e formule semplici, non fosse altro perché le avrebbero trovate già prima. Occorre, invece, un impegno collettivo, corale. Serve un lavoro duro. Non occorrono solo repressione e prevenzione – spiega Giuliano – ci vuole un coinvolgimento di tutti, delle istituzioni, della città, delle Municipalità, degli enti locali, di ogni realtà laica, religiosa e di chiunque possa continuare ad affrontare un tema così complesso sotto un profilo multidisplinare”.
Tra le certezze elenca che “continueremo i rapporti perfetti con le forze giudiziarie” e che “qui ci sono delle potenzialità investigative eccellenti che riguardano anche le altre forze di polizia”. “Per me la Questura dovrà essere un luogo aperto – aggiunge – chiunque qui si dovrà sentire a casa propria e la Questura dovrà uscire per incontrare la città”. Tra le priorità ci dovrà essere “tenere conto delle istanze delle persone, di intercettare il disagio. Il fatto che, a volte, ci sia una forbice tra numero di reati e la percezione di sicurezza è una cosa di cui ci dobbiamo fare carico, non possiamo solo rispondere che i reati sono diminuiti”, taglia corto.
E a chi gli evidenzia l’affetto mostrato dai napoletani nei suoi confronti, già prima del suo arrivo in città, anche per la vicenda del padre Boris, il poliziotto della Squadra mobile di Palermo ucciso dalla mafia nel 1979, con un sorriso risponde che questo è uno degli argomenti di cui “non ama parlare”, ma poi riferendosi ai due insegnamenti che gli ha lasciato il papà, conclude dicendo che un poliziotto “deve essere ogni giorno calato nella realtà che lo circonda ed essere tra le persone. A qualunque costo”.
Articolo pubblicato il: 1 Giugno 2019 16:32