Quarant’anni fa, il 29 aprile 1980, veniva a mancare nella sua casa di Bel Air a Los Angeles, in California , uno dei più grandi registi e senza dubbio una delle personalità più importanti della storia del cinema mondiale: Alfred Hitchcock.
Come spesso è accaduto per registi e/o attori di così tale prestigio artistico, anche in questo caso la scoperta pigra e tardiva di uno dei più grandi maestri del cinema MONDIALE, considerato da tutti il re del mistero e soprattutto della “suspense” (che approfondiremo più tardi), fu purtroppo, sbiadita e incompleta, probabilmente per una lunga serie di fattori legati soprattutto a giudizi talvolta troppo negativi e/o forse velatamente superficiali da parte di una certa critica, “distratta”.
Tuttavia, questa tardiva scoperta, da imputare forse anche alla lenta e disordinata distribuzione di gran parte dei suoi film considerati dei veri e propri capolavori cinematografici, non ha impedito al genio-Hitchcock di diventare uno dei più bizzarri, ironici e “maliziosi” registi inglesi e di aver cambiato la storia del cinema mondiale. Il nome di Alfred Hitchcock nel corso degli anni è stato legato ed accostato alla storia del cinema mondiale, come sinonimo di brivido, di emozione, di fremito, tutte emozioni molto forti, che colpivano lo spettatore durante la visione dei suoi film, noti per quel particolare genere, definito thriller.
Tra ironia, mistero e suspense Hitchcock ha saputo raccontare attraverso momenti drammatici e inaspettati colpi di scena il vero “giallo” d’autore, intrecciandone persino gli eventi storici come la guerra, il nazismo e il fascismo, ma soprattutto l’invasione europea da parte del cinema americano nell’immediato dopoguerra e oltre.
Parlare quindi di Hitchcock oggi, a quarant’anni di distanza dalla sua morte, vuol dire recuperare una parte di quella memoria storica che per molti è andata smarrita, riducendo la grandezza del regista talvolta a una pura e semplice informazione cinematografica. Molte e varie sono le caratteristiche che contraddistinguono i film di Hitchcock, la prima di queste è senza dubbio, come già ho accennato in precedenza, la SUSPENSE.
Letteralmente “sospensione”, questa caratteristica è presente in tutti i lavori cinematografici del regista inglese, e consiste nel trascinare lo spettatore in uno stato di totale incertezza per tutta la durata del film, nel quale le due possibili verità, e cioè l’innocenza o la colpevolezza di uno dei protagonisti, rappresentano uno dei più grandi piaceri della visione cinematografica di Hitchcock, e soprattutto un tema che lui stesso amava molto, spesso accompagnata da un altro elemento fondamentale del cinema “giallo”: la SORPRESA.
Questa, nei film di Hitchcock contraddistingue i diversi modi di sviluppo di una trama cinematografica, dove la scelta molto attenta e precisa curata nei minimi particolari, fa del nostro regista un vero e proprio maestro dell’immagine e del montaggio, rendendo i suoi lavori unici e talvolta atipici, quasi mai banali. Entrambe poi (la “suspense” e la sorpresa) sono rafforzate anche dal sospetto, un altro importante elemento che spesso ritroviamo proprio in quello della persona amata, così come viene raccontato nel film “Il sospetto” del 1941.
Qui, la giovane moglie di un affascinante Cary Grant è assalita da tremendi dubbi sulla vita privata del marito, fino a crederlo un assassino. Anche per questo il cinema di Hitchcock riesce a penetrare a fondo nella psicologia, talvolta contorta, degli individui svelandone le più intime e inconfessabili contraddizioni.
Non a caso voglio citare uno dei più famosi e inquietanti film del 1960 Psycho, tratto da un giallo psicoanalitico di Robert Bloch, nel quale con gusto e un pizzico di “humour”, naturalmente inglese, Hitchcock affronta il terribile e delicato “problema” dello sdoppiamento della personalità, quasi un tabù per l’epoca. Era questa, infatti, una malattia cronica invalidante comunemente conosciuta come schizofrenia, che è stato uno degli argomenti preferiti dagli anglosassoni e, nel celebre racconto di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” , ha avuto il suo maggior riscontro.
Di origine inglese, Hitchcock non si è formato però con il cinema britannico, infatti ha imparato e soprattutto appreso dal cinema tedesco, quello della Repubblica di Weimar, attraverso le forme cupe e disordinate dell’espressionismo tedesco, tanto per intenderci, che era allora tra i primi del mondo.
Infatti, la funzione espressiva della luce unita ad un eccellente taglio fotografico, erano gli elementi fondamentali che hanno permesso al grande regista di potersi esprimere al meglio e dimostrare di possedere una spiccata personalità. Non a caso, nel suo primo vero film di successo The Lodger – A story of the London Fog (Il pensionante – Una storia della nebbia di Londra) già si avvertono i primi segni di quella che sarà la sua opera futura, impregnata d’importanti elementi come il dubbio, l’angoscia, e naturalmente la suspense, elementi comuni finalizzati alla sottile descrizione del delitto.
Questi parametri di paragone li ritroveremo più tardi in Nodo alla gola del 1948, il primo film a colori del regista, che parte dall’identità degli assassini fin dalla prima sequenza dello stesso, e che punta l’intera vicenda su una lunga serie di pericolosi dialoghi, giocati sulla freddezza psicologica dei protagonisti, tra i quali spicca un grande James Stewart che per Hitchcock interpretò altri tre film di grande successo.
Uno di questi è senza dubbio La finestra sul cortile del 1954, un grande capolavoro del brivido e un prezioso omaggio al cinematografo, dove è stata creata perfettamente quell’atmosfera così coinvolgente e verosimile per lo spettatore, da sembrare egli stesso testimone di un avvenimento reale. E si potrebbe ancora proseguire su questa falsa riga, se ripensiamo all’amante perduta di Notorius del 1946, al Delitto perfetto del 1954, legati entrambi dal ruolo fondamentale quanto semplice di una chiave, alla guerra fredda nell’incalzante Il sipario strappato del 1966, con un giovane Paul Newman, fino all’avvincente Intrigo internazionale del 1959.
Come non ricordare The Man Who Knew Too Much (L’uomo che sapeva troppo) del 1934, così ben riuscito da farne un remake ventidue anni più tardi, nel 1956 con James Stewart e Doris Day. E ancora, il claustrofobico The Wrong Man (Il ladro) dello stesso anno con un bravissimo Henry Fonda, e l’avvincente Vertigo (La donna che visse due volte), un vero giallo d’autore con un grande colpo di scena finale fino al celeberrimo The Birds (Gli uccelli), enigmatico e inquietante con un’affascinante Tippi Hedren, madre di Melanie Griffith.
La sua carriera terminò infine con due ultimi grandi film, Frenzy del 1972, ambientato nella sua amata Inghilterra e caratterizzato da un assassino che usa le sue cravatte per uccidere le sue vittime, un film che riportò il regista ai grandi successi di una volta, dopo il precedente e deludente Topaz, e Family Plot (Complotto di famiglia) del 1976, l’ultimo suo grande impegno cinematografico anche se non può essere paragonato ai suoi precedenti capolavori.
Film scelti a caso solo per sottolinearne la grandezza di un regista che in tutta la sua carriera cinematografica ha diretto i suoi 53 lavori con sagace maestria, gettando le basi per un nuovo grande cinema d’autore che nel corso degli anni ha rinnovato quell’impronta emotiva da sempre presente in tutti i suoi film. Curiose e insolite infine le apparizioni che Alfred Hitchcock era sovente fare in tutti i suoi film, apparizioni brevissime, non troppo evidenti e quasi sempre ironiche che cosi commentò in una celebre intervista: Le mie apparizioni all’inizio erano strettamente utilitaristiche. Più tardi sono diventate una superstizione e poi una vera e propria ”gag”.
Forse erano semplicemente un gusto doppio per lo spettatore critico, nel quale l’ansia dell’attesa per il momento dell’apparizione del regista, era un motivo in più da mettere in conto per sciogliere quella lunghissima suspense che Hitchcock aveva così ben creato, nel corso del film.
E in questo, era un vero maestro. Poco prima della sua morte Truffaut, con il quale aveva collaborato alla stesura di uno dei libri più belli e divertenti sul regista Il cinema secondo Hitchcock, volle ringraziarlo pubblicamente, per aver reso il cinema mondiale ancora più bello e prezioso, con questa significative parole: Se siamo disposti ad accettare l’idea che il cinema non sia inferiore alla letteratura, credo che sia necessario classificare Hitchcock, ma tutto sommato perché classificarlo, nella categoria degli artisti inquieti come Kafka, Dostoevskij, Poe.
Questi artisti dell’angoscia non possono evidentemente aiutarci a vivere, perché vivere per loro è già difficile, ma la loro missione è di dividere con noi le loro ossessioni. Con questo, ma anche ed eventualmente senza volerlo, ci aiutano a conoscerci meglio, il che costituisce un obiettivo fondamentale di ogni opera d’arte.
Articolo pubblicato il: 1 Maggio 2020 12:33