Al Teatro Augusteo e poi al Trianon la versione teatrale della celebre opera “Così parlò Bellavista”. Geppy Gleijeses riporta in scena la commedia ispirata alla famosa pellicola del 1984.
Nel nome di quel genio moderno della letteratura filosofica che fu Luciano De Crescenzo, la versione teatrale della sua celebre opera “Così parlò Bellavista” è giunta in questi giorni dapprima al Teatro Augusteo e poi al Trianon.
Un ritorno sofferto a causa della nota pandemia che, con la parola d’ordine “nessun paragone o confronto con il film e i suoi interpreti”, ha visto l’attore e regista Geppy Gleijeses, riportare in scena la commedia ispirata alla famosa pellicola del 1984.
Non più, stavolta, nei panni di Giorgio, il fidanzato della figlia (indossati per il cinema) ma in quelli del suo famoso papà, Professor Bellavista, Gleijeses nei teatri di piazzetta duca d’Aosta e di Forcella ha subito offerto l’impressione di volere proporre un’opera distaccata dal libro e dal successo cinematografico, smaliziata e semplicemente teatrale.
Una commedia dove pur rimanendo vive le citazioni del romanzo e del susseguente film, a dominare è stata la voglia di ammaliare e divertire il pubblico trascinandolo su dei sentieri, sia pure conosciuti a memoria, in modo allegro e garbato.
“Così parlò Bellavista” con lo spazio scenico curato da Roberto Crea e il suo interno del Palazzo dello Spagnolo ai Vergini, con le musice di Claudio Mattone e l’adattamento teatrale dello stesso Gleijeses pronto a ridisegnare la sceneggiatura firmata da Riccardo Pazzaglia, è risultato piacevole e rispettosamente privo di particolari sconvolgimenti.
Con un elegante e disinvolto Gleijeses nei panni di Bellavista e con Marisa Laurito in quelli della moglie, a fare bella figura in scena sono stati Benedetto Casillo, nuovamente nei panni del “vicesostituto portiere” di nome Salvatore e ancora, Antonella Cioli nel ruolo della celebre domestica Rachelina in lotta con la lavastoviglie.
Con loro, tra gli altri, Vittorio Ciorcalo, Gianluca Ferrato e Gigi De Luca, il quale, con il peso di quattro personaggi sul groppone, si è trasformato in una sorta di Leopoldo Fregoli pronto a evidenziare delle doti più vicine al trasformismo che al teatro recitato. Efficace nel portare alla memoria le immagini di una Napoli sognatrice insieme a quelle di personaggi immutabili nei secoli, “Così parlò Bellavista” anche in teatro ha saputo porre in luce i lati più nascosti di una città immutabile e ferma nel tempo.
Inoltrandosi in un mondo ora corrotto e guerreggiante ora poetico e filosofico con i personaggi che viaggiano al contrario delle leggi e con altri che fanno della filosofia più elementare il motivo dominante della propria esistenza, la commedia ha evidenziato l’atavico desiderio di rivincita di una Napoli spaccata a metà tra purezza e corruzione, vita e morte. O meglio, il bisogno di riscatto una Partenope che, con il peso delle leggende e delle dominazioni sulle spalle, rivendica ancora una volta, senza Pulcinella, pizze, mandolini e canzoni, l’antica e nobile onorabilità insieme al pregio di certi sentimenti puri e inalienabili.