Il paziente, da tempo in cura al polo oncologico partenopeo per un epatocarcinoma primario, prima di essere avviato alla sperimentazione, era stato sottoposto a una resezione chirurgica e a quattro radiofrequenze.
Il trattamento consiste in 9 iniezioni intradermiche da effettuare periodicamente e precedute da un’unica infusione endovena di ciclofosfamide a bassa dose, un chemioterapico che ha lo scopo di preparare il terreno. L’obiettivo è, innanzitutto, quello di valutare l’assenza di tossicità e la risposta immunitaria al vaccino e poi avere una stima di efficacia sulla riduzione delle recidive e, quindi, prevenire la ricomparsa della malattia.
Ad oggi, in tutti i centri clinici coinvolti, sono stati arruolati 49 pazienti con epatocarcinoma primario. Di questi, al Pascale ne sono stati arruolati 15. Dei 49 pazienti, dopo tutti i vari step di verifica, 5 sono arrivati in fase di vaccinazione. Uno ha completato tutto il ciclo di vaccinazione ed ora è in follow up nell’Istituto oncologico di Anversa, in Belgio; tre pazienti finiranno la sperimentazione nelle prossime settimane al Negrar di Verona.
Gli effetti collaterali osservati nei primi quattro pazienti – spiega Luigi Buonaguro – sono stati di minima entità, per cui il nostro nucleo di valutazione dei rischi ha dato il disco verde per continuare l’arruolamento. L’obiettivo del vaccino è avere una prima idea di efficacia, un ritardo della ricomparsa del tumore o, nella migliore delle ipotesi, l’assenza di ricomparsa del tumore-
Durante i primi cinque anni del progetto portato avanti con i finanziamenti e fondi dell’Unione europea, i ricercatori hanno identificato gli antigeni presenti dell’epatocarcinoma, cioè una tipologia di cellule proteiche presenti in grandi quantità solo sulle zone tumorali. Tali antigeni sono totalmente nuovi e specifici per il tumore del fegato che non si trovano sulle cellule sane del fegato, né in altri organi. Questi sono stati utilizzati per preparare il vaccino Hepavac. Il Team lavora dal 2013, dice il direttore dell’ospedale Attilio Bianchi, e sarà il primo vaccino al mondo per questa tipologia di tumore.
Il tumore metastatico al fegato non prende origine dagli epatociti dell’organo, ma da cellule tumorali che arrivano in questa sede partendo da altri organi diversi dove si è sviluppato un tumore primitivo, come il colon, il retto o la mammella. Il fegato è un organo complesso, il più grande del corpo umano, una ghiandola con una varietà di funzioni importanti:
Il fegato, tra le sue numerose funzioni, svolge anche quella più interessante, di filtro. Attraverso questa ghiandola possono passare fino a due litri di sangue al minuto attraverso la vena porta, circa il 70 per cento che proviene dall’intestino e dagli organi addominali. In questo grande lavoro di filtraggio, le cellule tumorali che si muovono nell’organismo attraverso la circolazione possono essere catturate.
Il tumore del fegato rappresenta, infatti, la terza causa di morte per cancro nel mondo e le opzioni terapeutiche attualmente a disposizione sono molto limitate con una sopravvivenza media del 20 per cento e non esiste uno strumento capace di sostituire quest’organo. Ecco perché gli esperti insistono tanto sulla diagnosi precoce e sperimentazione. Un cancro diagnosticato nelle sue fasi iniziali ha molte meno probabilità di essersi già diffuso in altri organi e, pertanto, le possibilità di cura aumentano notevolmente.
Articolo pubblicato il: 15 Ottobre 2018 23:18