Rino Gattuso grande protagonista: molto del merito della vittoria della Coppa Italia va all’allenatore (che in soli sei mesi ha conquistato squadra e tifosi partendo da una situazione complicatissima).
C’è molto dell’allenatore Rino Gattuso nella vittoria della Coppa Italia da parte del Calcio Napoli, capace di surclassare la favorita Juventus e di vincere meritatamente ai rigori il trofeo tricolore, il sesto nella storia del club azzurro (terzo nell’era De Laurentiis, cui va aggiunta anche la Supercoppa Italiana del 2014).
Bisogna innanzitutto uscire da un equivoco che fino a ieri ha accompagnato il percorso del Gattuso allenatore. Del mitico Ringhio, lottatore in mezzo al campo tra grandi campioni col Milan e in Nazionale, è senza dubbio rimasta l’impronta motivazionale e la capacità di gestire il gruppo anche nelle situazioni più difficili (basti pensare alla cacciata dall’allenamento dello scontento Lozano, appena 24 ore prima della finale di Roma).
Ma, soprattutto, Gattuso si è dimostrato preparatissimo dal punto di vista tattico, puntando moltissimo sul palleggio e nello stesso tempo rafforzando una difesa che con Ancelotti era diventata terra di conquista. La retroguardia (in cui hanno giganteggiato Ospina, Meret, Koulibaly e Maksimovic, senza dimenticare l’ottimo Manolas pre-lockdown) è stata fondamentale per la conquista della Coppa Italia: un solo gol subito in cinque partite. E se il 2-0 contro il Perugia appariva abbastanza scontato, le gare con Lazio, Inter e Juventus non lo erano affatto (col solo Eriksen capace di segnare un gol agli azzurri).
Il centrocampo punta molto sulla qualità di Fabian e Zielinski, ma anche ieri sera è emersa l’importanza di Demme (indovinatissimo acquisto di gennaio): è lui l’ago della bilancia che Rino aveva richiesto con insistenza. Senza dimenticare che a Gattuso va dato il merito di aver rivitalizzato i “piccoletti” dell’attacco, con Insigne (finalmente leader) e Mertens (bomber dei bomber con 122 gol) divenuti suoi fedelissimi.
La data che aveva stravolto questa stagione è sicuramente quella del 5 novembre, quando la squadra si rifiutò di andare in ritiro dopo l’1-1 interno col Salisburgo. L’incredibile accaduto stravolse gli equilibri tra squadra, società e guida tecnica (Ancelotti e il suo staff si recarono regolarmente a Castel Volturno), dando il là alle multe e, soprattutto, ai risultati negativi che portarono al “ribaltone” in panchina a metà dicembre. In soli sei mesi (ma anche meno, tenuto conto del lungo stop dovuto all’emergenza Covid 19), Gattuso ha avuto il merito di risollevare una squadra “malata”, come detto dallo stesso Ringhio dopo la prima vittoria sul Sassuolo. E lo ha fatto professando sempre umiltà, senza la presunzione di insegnare nulla e la sola ambizione di crescere assieme al gruppo: ecco perché ha conquistato i tifosi.
La vittoria di ieri rappresenta il timbro della sua conferma per l’anno prossimo, nell’attesa che ADL rinnovi il contratto a un allenatore che dopo la partita non ha dimenticato quanto il calcio gli abbia insegnato, nel corso di una vita piena di soddisfazioni ma anche con immensi (e purtroppo recentissimi) dolori:
“Il calcio mi ha dato tanto, forse più di quello che meritavo -ha dichiarato commosso alla Rai- Mi ha fatto benestante, mi ha fatto ‘cristiano’, mi ha fatto uomo. Ed è per questo che non mollerò mai di una virgola, è per questo che do sempre il massimo e voglio sempre il massimo da tutti”.