Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta. Una massima che vale anche per don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso dalla Camorra il 19 marzo 1994, proprio nel giorno del suo onomastico.
Una vittima innocente che col suo impegno è riuscito a dare il via al risveglio civico della città, dove ieri, domenica 17 marzo, don Peppe è stato ancora una volta ricordato con grande affetto e partecipazione. Circa 12mila persone hanno preso parte alla marcia organizzata dall’Agesci in suo ricordo.
Don Peppe era uno scout, e così dopo la sua morte, ogni anno, gli scout si riversano a Casal di Principe per rinnovare il messaggio di speranza lanciato dal prete, che con grande coraggio sfidò la camorra quando in pochissimi lo facevano. Dei partecipanti, 7000 erano scout provenienti da tutta Italia, cui si sono aggiunti tantissimi cittadini di Casal di Principe.
Tutti uniti per una marcia fatta di canti e gesti simbolici, scandita da tre tappe: la prima davanti alla casa della madre del sacerdote, Iolanda, che come ogni anno si è affacciata al balcone per salutare gli scout; la seconda all’esterno della chiesa di San Nicola di Bari, dove don Peppe era parroco e dove 25 anni fa fu ucciso. Ultima tappa al cimitero, dove è sepolto, e dove hanno celebrato messa l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, e il vescovo di Aversa Angelo Spinillo.
I ragazzi presenti alla giornata in ricordo di don Peppe Diana hanno fatto una scelta ben precisa, quella della legalità: uno degli hashtag più ricorrenti sui social è non a caso #nontacerò (come spesso diceva don Peppe). E per fare tale scelta, come disse lo stesso parroco di Casal di Principe, “non c’è bisogno di essere eroi, basterebbe ritrovare il coraggio di aver paura, il coraggio di fare delle scelte, di denunciare”.
A DON PEPPE DIANA (un chicco di grano, uno al cielo)
Ho una preghiera foderata di bianco.
Un gesto per il popolo a volte stanco, scurito
in vólto a causa di uno sparo
che ferisce persino il suo stesso vuoto.
Provo un dolore immenso
nel vedere una famiglia che trema che segregata
vive dietro una finestra
che ha paura di spalancarsi alla vita,
avvolta da un’anima troppo preoccupata
di mostrarsi forte quand’è un’arma in pugno
a dettare il ritmo del respiro,
o il battito del tempo.
Ho una preghiera ammantata di bianco.
Un gesto per il popolo spesso vessato dal branco,
una frase avvolta da un pensiero
come inizio di una vita che si rasserena
mentre un’altra che si preoccupa
per chi vive un’arida giornata
o di quel sole cosí caldo
che nasce ogni mattino,
che potrebbe
non arrivare a sera.
Foto in evidenza: pagina Facebook “Agesci Campania”
Articolo pubblicato il: 18 Marzo 2019 10:44