Secondo gli inquirenti, Emanuele Libero Schiavone voleva riaffermare a Casa di Principe la supremazia criminale della fazione una volta riconducibile al padre, ormai pentito.
Voleva riaffermare la supremazia criminale della fazione una volta riconducibile al padre, ormai pentito, a colpi d’arma da fuoco: è quanto viene contestato a Emanuele Libero Schiavone, 32 anni, figlio di Francesco Schiavone detto Sandokan, sottoposto a fermo nei giorni scorsi insieme con Francesco Reccia, 20 anni, anche lui “figlio d’arte”, (erano detenuti in celle adiacenti a Siracusa), entrambi bloccati dai carabinieri del comando provinciale di Caserta.
Il gip di Napoli ha convalidato i fermi emessi lo scorso 13 giugno dalla Procura partenopea (pm Simona Belluccio e Vincenzo Ranieri, procuratore aggiunto Michele Del Prete) e disposto la misura cautelare del carcere per entrambi.
A entrambi viene contestato il porto in luogo pubblico di armi comuni da sparo, tra le quali almeno due pistole semiautomatiche, in concorso con altre persone al momento non identificate: un reato che viene contestato nella forma aggravata, dalle finalità mafiose. Quelle armi, viene ipotizzato, erano destinate a rispondere ai raid – tre in tutto – che si sono verificati a Casal di Principe lo scorso 7 giugno (uno dei quali ai danni dell’abitazione della famiglia Schiavone) e il successivo 11 giugno a San Cipriano d’Aversa dell’11 giugno, nei pressi dell’abitazione di Reccia. E il movente degli agguati sarebbe riconducibile, in particolare, a fibrillazioni legale al controllo della gestione delle piazze di spaccio a Casal di Principe, in particolare quella della cosiddetta Piazza Mercato.
Con questa scelta, Emanuele Libero Schiavone, scarcerato lo scorso 14 aprile, ha – di fatto – preso le distanze dalla posizione assunta dal padre, il capoclan Francesco Schiavone, di collaborare con la giustizia. Ha deciso quindi, una volta tornato in libertà, di riappropriarsi della gestione delle attività criminali nel frattempo finite nelle mani dei gruppi rivali.
Anche le sue sorelle a fine febbraio, durante un colloquio con il padre allora detenuto al 41 bis, hanno manifestato preoccupazione circa l’eventualità che Emanuele, una volta tornato in libertà, potesse tentare di rimettere in piedi il clan: “Speriamo che mette la testa a posto, diglielo pure tu”, hanno detto entrambe rivolgendosi al padre durante il colloquio in carcere.
Ma lui, parlando con la mamma, mentre era ancora detenuto, aveva esattamente in testa quel progetto: “Papà facendo questo dopo 25 anni e otto mesi (riferendosi al “pentimento”) fa ridere tutto il mondo… una volta che tu ti penti, non abbiamo più nessuno. O ci uccidono, o ci rimettiamo (in attività criminali)”.
Il primo raid di Casal di Principe è scattato nei pressi di un bar che si trova nei pressi della piazza di spaccio: poco prima della mezzanotte del 7 giugno sono stati sparati almeno 5 proiettili calibro 9 con un fucile mitragliatore; almeno 15 proiettili con armi diverse, sono poi stati esplosi pochi minuti dopo contro la casa degli Schiavone. La replica è stata registrata invece l’11 giugno, 40 minuti dopo la mezzanotte, con almeno 5 colpi esplosi con un’arma dello stesso tipo e dello stesso calibro di quella usata in occasione del primo episodio di Casale. Questa volta però la raffica è stata esplosa nei pressi dell’abitazione di Reccia, a San Cipriano d’Aversa