Cecità ereditarie, è al vaglio ormai da qualche tempo la possibilità di curarle con la terapia genica. Esiste, però, una difficoltà oggettiva. I vettori utilizzati per correggere i difetti congeniti del DNA sono in grado di trasportare solo geni di piccole dimensioni. Questo limite impedisce di approcciare con questa tecnica quelle malattie causate dall’alterazione di geni di grosse dimensioni.
Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Telethon di Pozzuoli ha dimostrato come ovviare a quest’ostacolo. Lo studio, coordinato da Alberto Auricchio, group leader del Tigem e professore di Genetica Medica all’Università Federico II di Napoli, è stato pubblicato su «Science Translational Medicine».
Le cecità ereditarie colpiscono oltre duecentomila persone solo nell’Unione Europea e sono dovute nella maggior parte dei casi ad alterazioni di geni che codificano per proteine localizzate nei fotorecettori, le cellule nervose dell’occhio responsabili della visione. La terapia genica rappresenta una delle strategie più promettenti per queste forme di cecità, grazie all’iniezione direttamente nell’occhio di vettori di origine virale modificati in modo da essere incapaci di replicarsi ma in grado di trasportare versioni corrette dei geni difettosi nei pazienti.
«I vettori utilizzati, quelli adeno-associati (Aav), sono piccoli e diffondono bene attraverso i vari tessuti – spiega Alberto Auricchio – questo è però anche un limite, dal momento che, essendo piccoli, trasportano una limitata quantità di Dna. Così come sono, non possono essere utilizzati per il trasporto di geni di grosse dimensioni, come per esempio quelli responsabili della malattia di Stargardt o di altre forme di amaurosi di Leber. Per questo, da diversi anni, siamo al lavoro per studiare come risolvere il problema: in questo caso ci siamo ispirati a un sistema tipico di organismi unicellulari come i cianobatteri che, attraverso un meccanismo di ‘taglia e cuci’, producono proteine lunghe a partire da precursori più corti».
In particolare, i ricercatori hanno costruito dei vettori Aav codificanti, ciascuno, una delle porzioni di una grossa proteina, che non potrebbe essere codificata per intero con un solo vettore, dato appunto il limite di trasporto di Aav. Le varie porzioni della proteina vengono poi assemblate in una proteina intera e funzionale, utilizzando il meccanismo di ‘taglia e cuci’ ispirato, appunto, dai batteri.
I risultati ottenuti finora nei modelli animali hanno mostrato risultati molto promettenti. Presto, col sostegno delle grandi Aziende del settore, sarà possibile portare questi risultati al letto dei pazienti.
Articolo pubblicato il: 28 Maggio 2019 13:00