giovedì, Dicembre 12, 2024

Edoardo Nicolardi, nel segno della sua celebre canzone “Voce ‘e notte”

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Carlo Farina
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Carlo Farina - cura la pagina della cultura, arte con particolare attenzione agli eventi del Teatro San Carlo, laureato in Beni culturali, giornalista.

Grande umorista ed autore della celebre “Voce ‘e notte”, una delle più belle e famose canzoni napoletane, la cui melodia è nata dall’estro e dal cuore dell’autore di “Torna a Surriento”.

L’affascinante storia della canzone napoletana, non sempre è legata ad episodi tristi e/o drammatici, come nel caso degli autori di O sole mio, ma riserva anche inaspettati lieto fine, come nel caso di un altro grande poeta della Napoli di fine Ottocento, un artista che possiamo identificare in una delle più belle e famose canzoni napoletane legata, appunto, ad una vicenda strettamente personale ed autobiografica dell’autore: Edoardo Nicolardi.

Sto parlando naturalmente della celeberrima Voce ‘e notte, che, nata da una tremenda delusione d’amore, ebbe invece un destino del tutto inaspettato che lasciò a bocca aperta lo stesso Nicolardi, ormai rassegnato alla perdita dell’amata. Infatti, la delusione d’amore del nostro autore non fu causata dalla sua potenziale fidanzata, ma bensì dal padre di quest’ultima che preferì dare sua figlia in sposa al ricco Pompeo Corbera, piuttosto che allo squattrinato venticinquenne redattore del Don Marzio, nonostante il sincero e profondo sentimento che la figlia Anna, provava apertamente per Nicolardi.

La Storia

Fu così che il nostro poeta, presso la rinomata pasticceria Gambrinus, per lenire il dolore di tale insopportabile rifiuto, compose di getto una tra le più belle e toccanti poesie che la cultura napoletana abbia mai avuto. Ma indovinate chi c’era a consolare Nicolardi, durante i suoi ultimi giorni di vita ? Ebbene, i suoi ben otto figli che concepì con sua moglie Anna.

Si, infatti, si tratta proprio di quella ragazza che fu costretta dal padre a sposare il ricco commerciante Corbera, e che appena diciannovenne, incredibilmente, rimase vedova.Edoardo Nicolardi, nel segno della sua celebre canzone “Voce ‘e notte”

Nello stesso anno della morte del marito, potette finalmente sposare l’amato Nicolardi, che qualche anno prima si era recato a casa del padre di Anna, Gennaro Rossi, al quale chiese la mano della figlia.

Fu cacciato subito da quella casa quando il sig. Rossi appurò che Nicolardi non possedeva nessuna proprietà. E’ proprio vero che talvolta la realtà supera la fantasia, ed in questo caso l’ha addirittura trasformata in una favola romanzesca, con un lieto fine che nessuno poteva mai immaginare, terminata proprio come una favola.

Più tardi, fortuna volle inoltre che quei versi capitarono quasi per caso tra le mani di Ernesto De Curtis, autore della celebre Torna a Surriento il quale, folgorato dalla loro bellezza, volle assolutamente musicarli. Da questo perfetto  connubio nacque VOCE ‘E NOTTE, che il famoso editore Bideri acquistò nel 1904, riscuotendo subito un grandissimo successo, a tal punto da essere suonata in tutta Napoli dai cosiddetti pianini ambulanti. Erano, questi, dei pianoforti privati dei tasti e delle mani sostituiti da un cilindro applicato a dei martelletti e collegati ad una appropriata manovella meccanica che riproduceva brevemente la canzone “incisa”: introduzione, strofa e ritornello, un minuto circa, tutto compreso.

Il maestro Vincenzo Vitale, colui che ha insegnato pianoforte a Michele Campanella, Francesco Nicolosi, Bruno Canino e Laura De Fusco, giusto per citare alcuni dei più autorevoli grandi pianisti della celeberrima Scuola Pianistica di Vitale, definiva il pianino, un pianoforte castrato, e forse non aveva tutti i torti.

Ritornando alla nostra canzone, voglio citare alcuni dei suoi versi immortali: Si ‘sta voce te sceta int’ ‘a nuttata, / Mentre t’astrigne ‘o sposo tuoi vicino, / Statte scetata, si vuò sta’ scetata, / Ma fa vedè , ca duorme a suonno chino. . . . Nun gghi vicino ‘e lastre pè ffa ‘a apia / pecchè nun può sbaglià: sta voce è ‘a mia.

Alla meravigliosa musica il compito di fare il resto: strofa in tonalità di fa minore e ritornello che modula in fa maggiore, un’armonia classica, che ritroviamo spesso applicata alle canzoni classiche napoletane. Figlio del cancelliere Francesco e di Augusta Guell, di nazionalità tedesca, Nicolardi nacque a Napoli il 28 febbraio del 1878, e dopo aver frequentato gli studi classici, con la benedizione della madre fu assunto al già citato quotidiano Don Marzio, per poi passare al Pungolo , al Giorno e infine al Monsignor Perrelli.

Ma la sua carriera di artista non si arrestò mai, continuando a regalarci canzoni di un certo rilievo. Tra queste vanno sicuramente ricordate, Sciuldezza bella, del 1905 musicata da Alberto Montagna, e la celebre Mmiez’ ‘o grano, del 1909 con la musica di Evemero Nardella, una dolce serenata con i caratteri di una canzone campagnola intrisa di semplici ed armoniosi versi.

Va inoltre ricordata anche la sua fortunata collaborazione con il grande E. A. Mario, e con il quale, grazie alla sua vera ironica, compose la famosissima Tammurriata nera. Ma a proposito della sua vena ironica, c’è da dire che Nicolardi fondò e diresse anche il settimanale satirico Re di danaro, e per fagli pubblicità non disdegnava di organizzare manifestazioni canore e conferenze varie, assumendo molti personaggi tra attori, costumisti e sarti.

Tra questi fu scelto come il “Re di danaro” niente poco di meno che il grande Eduardo, a quel tempo ventunenne, che grazie a Nicolardi potè recitare e divertirsi su questo palcoscenico di grande prestigio, ed essere protagonista, proprio Lui che lo sarebbe stato per tutta la vita.

Questo ed altro fu Nicolardi per Napoli, fino al 1954, quando improvvisamente scomparve, dopo che una lunga malattia lo aveva già consumato, stretto dall’amore profondo dei suoi otto figli e della sua amata Anna, che potè coronare il sogno di sposare l’uomo che aveva sempre amato, solo per un semplice scherzo del destino.

 E tutte le volte che mi reco al Cimitero di Poggioreale, per mio padre, sepolto accanto al Recinto degli Uomini Illustri, mi soffermo sempre qualche minuto davanti la tomba di Edoardo Nicolardi, per onorarne la memoria, il talento e la sua incredibile fortuna, dopo aver percorso i lunghi viali dove riposano, tra l’altro, Salvatore Di Giacomo, E. A. Mario, Ferdinando Abano, Ernesto Murolo, Libero Bovio e Raffaele Viviani. 

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