Al Teatro Diana la commedia “Finché giudice non ci separi” con Biagio Izzo. La trama si sviluppa attorno alle vicende di quattro amici, ciascuno alle prese con le conseguenze di un matrimonio naufragato.
Debutto brillante al Teatro Diana per “Finché giudice non ci separi”, commedia scritta da Augusto Fornari, Antonio Fornari, Andrea Maia e Vincenzo Sinopoli, che affronta con intelligente ironia il tema della separazione coniugale.
Sul palcoscenico, un sestetto di bravi attori guidato da Biagio Izzo offre uno spettacolo che alterna risate e riflessioni su uno dei traumi più comuni della società contemporanea. La trama si sviluppa attorno alle vicende di quattro amici, ciascuno alle prese con le conseguenze di un matrimonio naufragato.
Massimo, interpretato da un convincente Biagio Izzo, è un libraio antiquario sprofondato nella disperazione dopo una separazione che lo ha privato di casa, stabilità economica e presenza quotidiana della figlia. La sua fragilità, resa in scena con sorprendente equilibrio tra comicità e pathos, rappresenta il fulcro emotivo della narrazione.
Intorno a lui ruotano tre figure maschili che incarnano diverse reazioni al trauma separativo: Mauro (Augusto Fornari) che, lasciato dalla moglie Chiara (Adele Vitale), si rifugia in un dongiovannismo compulsivo per mascherare una solitudine lacerante; Paolo (Adriano Falivene), la cui scoperta tardiva dell’attrazione per un uomo di nome Saverio ha determinato la fine del suo matrimonio e ora lo costringe a ripensare completamente la propria identità; e Roberto (Roberto Giordano), incapace di tagliare il cordone emotivo con l’ex moglie, con cui continua a convivere in un limbo relazionale carico di tensioni.
Il vero punto di svolta narrativo avviene con l’ingresso in scena a sorpresa di Silvie (Carla Ferraro), il giudice che ha decretato la separazione di Massimo, suo casuale vicino di casa. Donna avvenente e complessa con un passato segnato dalla separazione dei genitori – la madre, ex ballerina delle Bluebelle, gestisce ora un locale a Parigi – Silvie porta nella storia una prospettiva inaspettata che arricchisce la riflessione sul tema centrale dell’opera. La regia dello stesso Augusto Fornari, valorizza le dinamiche interpersonali e i tempi comici senza mai scadere nella banalità.
L’allestimento scenico concentra l’attenzione sulle relazioni tra i personaggi, sui loro dialoghi ora esilaranti ora toccanti, creando un’alternanza ritmica che mantiene alta l’attenzione dello spettatore. Ciò che colpisce di “Finché giudice non ci separi” è la capacità di trattare con leggerezza ma senza superficialità un tema carico di implicazioni dolorose. La scrittura, agile e ben congegnata, offre spunti di riflessione sul significato profondo del fallimento relazionale, sulle fragilità maschili troppo spesso inespresse, sul peso economico e psicologico delle separazioni.
Particolarmente riuscita è la caratterizzazione dei personaggi maschili, ciascuno rappresentativo di una diversa strategia – o mancanza di strategia – nel fronteggiare il crollo delle certezze matrimoniali. La loro amicizia, fatta di confidenze, consigli improbabili e reciproco sostegno, diventa una rete di salvataggio che li aiuta a non sprofondare completamente.
Il messaggio finale, veicolato soprattutto attraverso l’evoluzione del personaggio di Massimo, che trova il coraggio di riconoscere i propri errori e chiedere scusa all’ex moglie per riavvicinarsi alla figlia, è un invito alla maturità emotiva e alla responsabilità personale che trascende la pur legittima autocommiserazione.
“Finché giudice non ci separi” in scena al Diana fino al 30 marzo, si conferma così non solo un’efficace macchina teatrale capace di divertire, ma anche uno specchio sociale in cui molti spettatori possono riconoscere frammenti della propria esperienza o di quella di persone vicine, in un paese dove le separazioni sono ormai un fenomeno di massa con cui fare i conti collettivamente.