Al Premio Cinema Campania 2017 un riconoscimento per l’animazione Made in Italy che potrebbe portarci verso l’Oscar: “Gatta Cenerentola” è il film dell’anno grazie al suo produttore Luciano Stella e ai 4 registi, tra cui il premiato Dario Sansone, autore della colonna sonora con la canzone originale “A chi appartieni”.
Dopo i premi a Venezia ’74 e il riconoscimento anche al Napoli Film Festival, passando per i festival in Brasile, Polonia e Israele, Gatta Cenerentola sta finalmente percorrendo la strada più ambiziosa: la pellicola della Mad Entertainment è stata selezionata ormai da tempo nella lista dei 26 film di animazione in corsa per l’Oscar nella categoria del miglior film di animazione. Un cammino verso l’ambita statuetta che poteva incanalarsi già nella candidatura al miglior film straniero, scelta che sarebbe stata coraggiosa quanto quelle che fecero già Francia e Israele tra il 2008 e il 2009 rispettivamente con Persepolis e Valzer con Bashir, entrambi candidati poi nelle magiche cinquine.
Il film diretto da Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario sansone potrebbe far apprezzare ai giurati esteri e al pubblico americano la prima, vera fiaba animata della Cenerentola del Basile, fatta della stessa sostanza del grande Cinema a partire proprio dallo studio in cui l’opera è nata, nello stesso palazzo in cui Vittorio De Sica girò Matrimonio all’Italiana – era l’appartamento di Dummì Domenico Soriano, alias Marcello Mastroianni. Forse a llora non è un caso se il papà della piccola Mia, che diventerà la gatta Cenerentoladella storia, assomiglia nei tratti del disegno al grande De Sica, e persino la scena del matrimonio, col montaggio fatto di scatti in successione, ricorda vagamente il finale nuziale del già citato Matrimonio all’Italiana.
Le nozze tra Angelica Carannante (la futura matrigna) e don Vittorio Basile metteranno in moto la narrazione, col suo colpo di scena omicida. Da lì infatti il sogno tecnologico di Basile, quello di creare un grande polo della scienza nel porto di Napoli – le promesse mancate di Bagnoli e la riqualifica ancora disattesa della Città della Scienza? -, si frantuma in tanti piccoli ologrammi sparsi sulla nave Megaride, un relitto regno del degrado e del malaffare – e del malcostume – che porta il nome del primo insediamento della città, l’isolotto del Castel dell’Ovo su cui fu ritrovata la mitica sirena Partenope.
Tra i ricordi del passato e i sogni di un futuro mancato sotto forma di pesciolini e fantasmi virtuali (impossibile non pensare agli ologrammi della saga di Star Wars e al recente Prometheus del franchise di Alien), la piccola Mia è una gatta randagia spogliata di parola e dignità, ridotta a servetta dalle sorellastre prostitute – di cui una trans -, e costretta a girovagare in una nave inquietante come l’Overlook Hotel di Shining e triste come il transatlantico Rex di felliniana memoria.
La ragazza, dagli occhioni che rievocano i manga orientali utilizzati da Tarantino in Kill Bill vol 1 a suo tempo, e anche un po’ Mathilda del film Leon , assiste al ritorno in città di ‘o Rre Salvatore Lo Giusto, boss narcotrafficante e canterino doppiato da un istrionico Massimiliano Gallo, che in una metropoli sommersa da cenere e immondizia – il cotè politico è notevole, a metà tra l’emergenza rifiuti e l’Italia dell’intonato Berlusconi – tiene un importante meeting criminale in occasione dello sposalizio con la matrigna, ben presto sostituita nei suoi progetti da una sposa più giovane.
La scarpetta di reminescenza disneyana sarà offerta infatti alla figliastra della donna – doppiata da una bravissima Maria Pia Calzone, crudele come la Cersei Lannister del Trono di spade nei propositi distruttivi finali-, eppure la redenzione salvifica passerà per un altro principe azzurro (il poliziotto con la voce di Alessandro Gassmann), o forse così si spera e immagina.