giovedì, Novembre 7, 2024

“Gemito. Dalla scultura al disegno.” Dal 10 settembre al Museo di Capodimonte

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Carlo Farina
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Carlo Farina - cura la pagina della cultura, arte con particolare attenzione agli eventi del Teatro San Carlo, laureato in Beni culturali, giornalista.

Inaugurata questa mattina al Museo di Capodimonte la mostra “Gemito. Dalla scultura al disegno” a cura di Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano.

Grande fermento questa mattina nelle sale e nel cortile centrale del Museo di Capodimonte per la mostra evento dedicata a Vincenzo Gemito. La mostra che si è inaugurata oggi 10 settembre è un importante ed interessante progetto di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte e di Christophe Leribault, direttore del Petit Palais di Parigi, dove si è svolta la prima esposizione dal titolo Gemito.

Le sculpteur de l’âme napolitaine (dal 15 ottobre 2019 al 26 gennaio 2020). L’enorme, e forse inatteso, successo riscosso a Parigi, ha restituito alla sua legittima fama internazionale il grande e sfortunato artista di fine dell’Ottocento e alla sua incomparabile abilità nel modellare anime, senza dubbio una delle maggiori sfide del ritratto, di cui Gemito ci ha lasciato immortali capolavori, concentrando il suo genio artistico su questo genere a lui molto caro.

La seconda esposizione a Napoli, nella città natale dell’artista, dal titolo Gemito. Dalla scultura al disegno (10 settembre-15 novembre 2020), a cura di Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano, è stata concepita invece su un aspetto particolare dell’artista, infatti la stessa si concentrerà prevalentemente sui due grandi amori della sua vita che sono stati anche le sue muse ispiratrici: la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo.

Gemito, poco noto in Francia – afferma il direttore Bellenger – a Napoli assume le dimensioni di un mito, di una grande figura della leggenda, non nera e ossessiva come quella di Caravaggio, ma tenera, a cui i napoletani si sono affezionati. Un sentimento che nasce dall’ammirazione e dall’indulgenza verso il figliol prodigo, il ragazzo di strada. Gemito fu uno scugnizzo, il Gavroche dei francesi.

E’ importante e significativo sottolineare che la mostra “Gemito sculpteur de l’âme napolitaine” è stata la prima ad essere dedicata a Gemito fuori dall’Italia dopo la morte dell’artista. Questo può apparire forse sorprendente trattandosi di un uomo che aveva trovato la gloria proprio a Parigi, durante l’Esposizione universale del 1878, e che aveva stretto amicizia con i grandi artisti del tempo: Meissonnier ma anche Rodin.

Vediamo nel dettaglio il percorso espositivo della mostra Gemito, dalla scultura al disegno che è suddivisa in ben nove sezioni in cui le opere sono esposte cronologicamente e associate a quelle di artisti suoi contemporanei.

Due sezioni sono dedicate ai due grandi amori della sua vita, come ho già accennato precedentemente: la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo, detta ‘Nannina’ dalla quale avrà una figlia: Giuseppina.

Tra i numerosi capolavori esposti in mostra voglio segnalare il magnifico Medaglione con la testa di Medusa in argento dorato proveniente dal Getty Museum di Los Angeles, il famoso Giocatore e l’altrettanto celebre Pescatore Napoletano. E, ancora il Fiociniere, la Testa di fanciulla, il Malatiello, il Pescatorello, l’Acquaiolo, il Pastore degli Abruzzi, il busto della moglie Anna e quello di Giuseppe Verdi.

Ci sono poi i disegni, tra cui La Zingara. In mostra anche la celebre Coppaflora, recentemente acquisita alle collezioni di Capodimonte grazie a un atto di mecenatismo di cinque imprenditori napoletani, attraverso lo strumento fiscale dell’Art Bonus.

La maggior parte delle opere sono in collezione al Museo e Real Bosco di Capodimonte, ma molte provengono dalla Collezione Intesa Sanpaolo-Gallerie d’Italia Palazzo Zevallos Stigliano, partner anche dell’esposizione parigina, dal Polo Museale della Campania (Museo e Certosa di San Martino, Castel Sant’Elmo), dal MANN-Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dalle Gallerie dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, dal Museo d’Orsay di Parigi, dal Philadelphia Museum of Art e dal Getty Museum di Los Angeles negli Stati Uniti, dalla GAM-Galleria d’Arte Moderna e dalla GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, per citare solo alcune delle istituzioni museali nazionali e internazionali e da molte raccolte private.

Una grande occasione da non perdere per vivere e ripercorrere la vita di un artista che ha cambiato il modo di rappresentare una “realtà” viva e vera, con il talento di uno dei più grandi uomini dell’Ottocento. 

La vita di Vincenzo Gemito (1852 – 1929) è stata difficile e travagliata, ed ha tutti i contorni tipici della leggenda: abbandonato fin dalla nascita nella ruota dell’Annunziata il 17 luglio 1852, verrà adottato da una famiglia povera e crescerà nella sudice e maleodoranti strade di Napoli a stretto contatto con i cosiddetti “scugnizzi” napoletani, che sono poi diventati i suoi soggetti preferiti per i numerosi lavori di scultura e disegno. Non frequenta nessun tipo di accademia ma si lega agli artisti “ribelli” dell’epoca come Antonio Mancini, Giovan Battista Amendola e Achille d’Orsi.

Già a 23 anni realizza una serie di busti di personaggi illustri come Morelli, Verdi e Michetti. Troverà la gloria a 26 anni in quella Parigi che oggi la mostra celebra, ritrovando il suo vecchio amico Antonio Mancini. Gli viene commissionata dal re Umberto I la grande statua di Carlo V, che ancora oggi possiamo ammirare in una delle otto nicchie della facciata del Palazzo Reale di Napoli.

Iniziano i primi problemi di carattere psichiatrico, passando da una crisi di follia all’altra, chiudendosi in un lunghissimo isolamento, per oltre vent’anni nella sua casa di via Tasso. La sua fama crescerà sempre di più diventando uno dei più grandi artisti del suo tempo.

Si spegnerà a Napoli nel 1929, all’età di 77 anni. Questa mostra pertanto è un omaggio dovuto ad uno degli artisti più grandi e sfortunati della nostra città, che ha contribuito a rendere immortale un’opera indiscutibilmente bella e preziosa, quella di un uomo che ha fatto della sua arte la sua più grande ragione di vita. 

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