La scoperta pigra e tardiva di uno dei più grandi maestri del cinema mondiale, considerato da tutti il re del mistero e soprattutto della “suspense” (che approfondiremo più tardi), appariva qualche anno fa ancora sbiadita e incompleta, per una lunga serie di fattori legati soprattutto a giudizi talvolta troppo negativi e/o forse velatamente superficiali da parte della critica.
Questa tardiva scoperta era da imputare in larga misura anche al nostro “distratto” Paese a causa, e non solo, della lenta e disordinata distribuzione di gran parte dei suoi film, alcuni dei quali senza dubbio dei veri e propri capolavori cinematografici. Questa breve premessa introduce a uno dei più bizzarri, ironici e “maliziosi” registi inglesi: Alfred Joseph Hitchcock.
Un nome che è diventato nel corso degli anni e della storia del cinema sinonimo di “brivido”, quello che colpiva lo spettatore durante la visione dei suoi film, noti per quel particolare genere che è definito thriller. Tra ironia, mistero e suspense Hitchcock ha saputo raccontare attraverso momenti drammatici e inaspettati colpi di scena il vero “giallo” d’autore, intrecciandone persino gli eventi storici come la guerra, il nazismo e il fascismo, ma soprattutto l’invasione europea da parte del cinema americano nell’immediato dopoguerra e oltre.
Parlare quindi di Hitchcock oggi vuol dire recuperare una parte di quella memoria storica che per molti è andata smarrita, riducendo la grandezza del regista talvolta a una pura e semplice informazione cinematografica. Molte e varie sono le caratteristiche che contraddistinguono i film di Hitchcock, la prima di queste è senza dubbio, come già ho accennato in precedenza, la SUSPENSE.
Letteralmente “sospensione”, questa caratteristica è presente in tutti i lavori cinematografici del regista inglese, e consiste nel trascinare lo spettatore in uno stato di totale incertezza per tutta la durata del film, nel quale le due possibili verità, e cioè l’innocenza o la colpevolezza di uno dei protagonisti, rappresentano uno dei più grandi piaceri della visione cinematografica di Hitchcock, spesso accompagnata da un altro elemento fondamentale del cinema giallo: la SORPRESA.
Questa, nei film di Hitchcock contraddistingue i diversi modi di sviluppo di una trama cinematografica, dove la scelta molto attenta e precisa che ne fa il “nostro” regista, dell’immagine e del montaggio, rende i suoi lavori unici e talvolta atipici, quasi mai banali.
Entrambe poi (la “suspence” e la sorpresa) sono rafforzate dal sospetto, che è tipico in quello della persona amata, com’è raccontato nel film Il sospetto del 1941 dove la giovane moglie di un affascinante Cary Grant è assalita da tremendi dubbi sulla vita privata del marito, fino a crederlo un assassino.
Anche per questo il cinema di Hitchcock riesce a penetrare a fondo nella psicologia, talvolta contorta, degli individui svelandone le più intime e inconfessabili contraddizioni.
Non a caso voglio citare uno dei più famosi e sconcertanti film del 1960 Psycho, tratto da un giallo psicoanalitico di Robert Bloch, nel quale con gusto e un pizzico di “humour”, naturalmente inglese, Hitchcock affronta il terribile e delicato “problema” dello sdoppiamento della personalità, quasi un tabù per l’epoca, una malattia cronica invalidante comunemente conosciuta come schizofrenia, che è stato uno degli argomenti preferiti dagli anglosassoni.
Nel celebre racconto di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, ha avuto il suo maggior riscontro. Di origine inglese, classe 1899, Hitchcock non si è formato con il cinema britannico, infatti, ha imparato e soprattutto appreso dal cinema tedesco, quello di Murnau e Fritz Lang, tanto per intenderci che era allora tra i primi del mondo, la funzione espressiva sia della luce che del taglio fotografico, elementi fondamentali che hanno permesso al grande regista di potersi esprimere al meglio e dimostrare di possedere una spiccata personalità.
Non a caso, nel suo primo vero film di successo The Lodger – A story of the London Fog (Il pensionante – Una storia della nebbia di Londra) già si avvertono i primi segni di quella che sarà la sua opera futura impregnata d’importanti elementi come il dubbio, l’angoscia, e naturalmente la suspense, elementi comuni finalizzati alla sottile descrizione del delitto.
Questi parametri di paragone li ritroveremo più tardi in Rope (Nodo alla gola) del 1948, il primo film a colori del regista con lunghissimi piani sequenza (senza montaggio), che parte dall’identità degli assassini fin dalla prima sequenza dello stesso, che punta l’intera vicenda su una lunga serie di pericolosi dialoghi, giocati sulla freddezza psicologica dei protagonisti, tra i quali spicca un grande James Stewart che per Hitchcock interpretò altri tre film di grande successo.
Uno di questi è senza dubbio La finestra sul cortile del 1954, un grande capolavoro del brivido e un prezioso omaggio al cinematografo, dove è stata creata perfettamente quell’atmosfera così coinvolgente e verosimile, per lo spettatore, da sembrare egli stesso testimone di quell’avvenimento “reale” inserito nella trama del film.
E si potrebbe ancora proseguire su questa falsa riga, se ripensiamo all’amante perduta di Notorius del 1946, al Delitto perfetto del 1954, legati entrambi dal ruolo fondamentale quanto semplice di una chiave, alla guerra fredda nell’incalzante Torn Curtain (Il sipario strappato) del 1966, con un giovane Paul Newman, fino all’avvincente Intrigo internazionale del 1959.
Come non ricordare inoltre The Man Who Knew Too Much (L’uomo che sapeva troppo) del 1934, così ben riuscito da farne un remake ventidue anni più tardi, nel 1956 con James Stewart e Doris Day e il claustrofobico The Wrong Man (Il ladro) dello stesso anno con un bravissimo Henry Fonda, e ancora l’avvincente Vertigo (La donna che visse due volte), un vero giallo d’autore con un grande colpo di scena finale fino al celeberrimo The Birds (Gli uccelli), enigmatico e inquietante con un’affascinante Tippi Hedren, madre di Melanie Griffith.
La sua carriera terminò infine con due ultimi grandi film, Frenzy del 1972, ambientato nella sua amata Inghilterra e caratterizzato da un assassino che usa le sue cravatte per uccidere le sue vittime e Family Plot (Complotto di famiglia) del 1976, ultimo suo grande impegno cinematografico ma non paragonabile ai suoi numerosi capolavori. Film scelti a caso solo per sottolinearne la grandezza di regista che in tutta la sua carriera cinematografica ha diretto i suoi 53 lavori con sagace maestria, gettando le basi per un nuovo grande cinema d’autore che nel corso degli anni ha rinnovato quell’impronta emotiva da sempre presente in tutti i suoi film.
Curiose e insolite infine le apparizioni che Hitchcock era sovente fare in tutti i suoi film, apparizioni brevissime, non troppo evidenti e quasi sempre ironiche, che cosi commentò in un’intervista: “Le mie apparizioni all’inizio erano strettamente utilitaristiche. Più tardi sono diventate una superstizione e poi una vera e propria” gag”.
Forse erano semplicemente un gusto in più per lo spettatore critico nel quale l’ansia dell’attesa per il momento dell’apparizione del regista era un motivo in più da mettere in conto per sciogliere quella lunghissima suspense che si era creata nel corso del film. E in questo Hitchcock era un vero maestro.
Articolo pubblicato il: 7 Agosto 2018 10:09