martedì, Aprile 29, 2025

Ho paura Torero al Bellini con Lino Guanciale tra storia, passione e resistenza

Nell’epoca del teatro evento, del virtuosismo registico e del dialogo tra linguaggi, “Ho paura torero” si impone sulla scena del Teatro Bellini come un’architettura teatrale complessa, stratificata, profondamente evocativa. Un’esperienza immersiva, un omaggio vibrante a Pedro Lemebel, icona letteraria queer e voce ardente di una resistenza che ha saputo essere corpo e parola, poesia e politica.

La trasposizione teatrale di Alejandro Tantanian, con la regia di Claudio Longhi e la consulenza letteraria di Lino Guanciale, è un affresco vivido e dolente sulla Santiago del 1986, quando, con nella mente l’ultimo comunicato del presidente Salvador Allende morto durante il golpe del 1973, il Fronte Patriottico Manuel Rodríguez tentava l’attentato contro Pinochet e, nel cuore della cospirazione, sbocciava un amore impossibile.

Lino Guanciale, oltre che i panni di dramaturg dello spettacolo, indossa con toccante maestria le vesti della “Fata dell’angolo”, travestito fragile e passionale, accanto al combattuto Carlos di Francesco Centorame.

A sostenere la tessitura scenica, un cast di solida compattezza, tra cui Daniele Cavone Felicioni, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Mario Pirrello, Sara Putignano e Giulia Trivero, immersi in una coralità che restituisce il respiro collettivo della lotta. L’impianto scenico di Guia Buzzi con il visual design di Riccardo Frati si avvolge attorno a un insieme di casse di legno praticabili, incorniciando, tra specchi, foulard e manifesti d’epoca un’azione che oscilla tra sogno e realtà, tra la cruda dimensione politica e la struggente parabola del desiderio.

Sullo sfondo, le luci di Max Mugnai virano verso un ocra da pellicola analogica, mentre a fare da contraltare ai costumi di Gianluca Sbicca, i “travestimenti musicali” di Davide Fasulo innestano nell’intreccio la sensualità malinconica delle melodie latinoamericane. Il tutto si muove tra il kitsch anni Ottanta, le citazioni del silver screen e una sorta di reading teatrale che spinge il testo verso un’astrazione lirica.

Ma se la ricercatezza estetica e la tensione emotiva sono indiscutibili, “Ho paura torero” si confronta con un nodo drammaturgico non trascurabile: la durata. Oltre tre ore di spettacolo, in una narrazione che si articola più attraverso una voce che racconta piuttosto che un’azione che si sviluppa, appesantiscono l’energia scenica e rischiano di affaticare la fruizione. Alcune sezioni avrebbero forse beneficiato di un lavoro di sottrazione, rendendo il flusso più incisivo e meno gravoso per lo spettatore.

Resta, tuttavia, un’opera che non si limita a rappresentare: incide, suggerisce, ferisce. “Ho paura torero” è teatro militante e viscerale, che non chiede di essere solo osservato, ma interiorizzato. Un tributo alla forza della parola di Lemebel, alla resistenza dell’identità e alla memoria di un popolo, tra passione e politica, tra eros e rivoluzione.

Latest Posts

Ultimi Articoli