Dell’epoca dei Borbone, vanno subito ricordati la “Sfogliatella” e il “Babà” che erano in uso tra il popolo così come nell’aristocrazia napoletana.
A proposito dei Borbone, che a partire dal 1734, critiche e calunnie a parte, seppero trasformare Napoli in uno dei centri culturali e industriali più importanti d’Europa, c’è da dire che, tra le altre cose, furono capaci di offrire al Regno, anche a tavola, le sembianze di un luogo magico dove l’ antico era in grado di fondersi con il moderno per rivalutare il piacere del buon vivere e il gusto per la buona tavola.
Il celebre scrittore, poeta e drammaturgo tedesco, Johann Wolfgang von Goethe, a proposito della Napoli dell’epoca, in una sua lettera datata 29 maggio del 1787, raccolta nei suoi “Viaggi in Italia”, così scriveva. “Non v’è stagione in cui non ci si veda circondati d’ogni parte da generi commestibili; il napoletano non solo ama mangiare, ma esige pure che la merce in vendita sia bellamente presentata”.
Parlando delle specialità gastronomiche in auge nell’epoca dei Borbone, vanno subito ricordati la “Sfogliatella” e il “Babà” che erano in uso tra il popolo così come nell’aristocrazia napoletana.
Sontuosi e memorabili, furono in quei tempi, i pranzi svolti alla Reggia di Caserta per i quali, grazie ai diversi carteggi storici, si possono ricavare notizie riguardanti i grandiosi menù serviti a corte e il loro mutamento con l’evoluzione della moda francese capace di imporsi sulla cucina locale in occasione delle feste ufficiali.
Ancora, a proposito della cucina per così dire di tutti i giorni, nel periodo borbonico particolare attenzione venne concessa all’alternarsi dei cuochi spagnoli, napoletani e francesi autori di ricette e ghiotte specialità poi curate e pubblicate da personaggi e gastronomi come Vincenzo Corrado, il primo autore napoletano di un manuale organico di gastronomia intitolato “Il Cuoco Galante” pubblicato nel 1773 e come Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino che, con il suo trattato di “Cucina teorico-pratica” stampato nel 1837 seppe meglio di tutti descrivere e tramandare alla storia la gastronomia napoletana nell’Ottocento.
Fu sempre durante il regno dei Borbone che la minestra maritata, un piatto di origine spagnola così antico da non prevedere l’uso del pomodoro nel frattempo già scoperto in America, passò alla storia come una delle specialità simbolo della città partenopea.
Prendendo ad esempio, tra i Re Borbone amanti della buona cucina, Sua Maestà Ferdinando II, giunto sul trono del Regno delle Due Sicilie a soli vent’anni, occorre subito dire che lo stesso, oltre a confermarsi come duro e progressista, pronto a fare primeggiare Napoli in Italia con la prima tratta ferroviaria Napoli-Portici, non certo disdegnava la buona tavola aggirandosi con aria non del tutto regale tra i corridoi e le cucine della Reggia di Caserta.
Era proprio tra i fornelli e le provviste alimentari della regale residenza che Sua Maestà amava trascorrere gran parte dell’anno insieme alla seconda moglie l’Arciduchessa Maria Teresa Isabella d’Asburgo-Lorena e i suoi tredici figli tra cui il futuro successore Francesco II avuto dalla prima moglie Maria Cristina.
Conoscitore profondo delle pietanze più popolari, “Re Bomba” così era soprannominato per la sua energia nel sopprimere l’insorgere dei movimenti democratici, amava preparare personalmente i piatti per tutta la famiglia prediligendo i maccheroni, la pizza, la caponata e la cipolla.
Si narra, che sempre in virtù della sua “plebea” passione per la cucina di basso rango, proprio come il suo predecessore Re Nasone, amava recarsi in incognito nei mercati e nei luoghi dedicati al cibo compreso via Toledo dove si confondeva tra le bancarelle per assaggiare le più svariate delizie di appannaggio del popolo.
Celebre è l’episodio riguardante la visita che Ferdinando II fece a Gragnano nel mese di luglio del 1842. Accompagnato da circa quaranta cavalieri, dalla regina e dai figli al completo, Sua Maestà Ferdinando s’intrattenne nelle famose aziende produttrici di paste lunghe. Tornando alla reggia prezioso fu il carico di cento tomoli di maccheroni avuti in dono e fu tale la sua contentezza per l’omaggio ricevuto che ai pastai di Gragnano concesse l’ambito riconoscimento di fornitori di corte.