È in quella stessa Napoli che fu “Milionaria” con Eduardo De Filippo e “Pompei mai sepolta” con Curzio Malaparte, che lo scrittore Maurizio De Giovanni ha ambientato il suo atto unico “Mettici la mano”.
Una Napoli datata 1943, vittima delle incursioni aeree e delle bombe dei presunti alleati, pullulante di ricoveri scavati nel tufo e satura di desolata e umana bontà. Una Napoli che, attraverso gli occhi dell’apprezzato giallista napoletano e dei suoi personaggi “Brigadiere Maione” e “Bambinella”, si trasforma in una commedia dove a fare battere il cuore è quella atavica vitalità, scaturita direttamente dalla realtà.
Verista per stile, crepuscolare per i suoi toni sentimentali e delicati e realista per la presa diretta con lo spettatore, alla prima al Teatro Diana tornato finalmente a splendere dopo la pandemia, il lavoro ha portato in scena una storia capace di sprigionare lentamente una magnifica interpretazione dei fatti dell’esistenza umana.
Confermando la sua statura di autore, De Giovanni ha puntato sull’ora più triste di questa città, improvvisamente passata dalla miseria alle bombe, dalle dominazioni alle vessazioni dei tedeschi, per regalare al pubblico un momento teatrale diviso tra la condanna del male e l’indicazione di una via d’uscita. Con il valore morale come protagonista assoluto insieme alle immagini di una società capace di salvare le sue creature, l’autore ha consegnato al palcoscenico, con grande successo di pubblico, una vicenda lontana dalle facili teorie intellettualistiche dal sapore coinvolgente della poesia.
Ed è così che a dare corpo ad un’operazione drammaturgica inneggiante ai famosi romanzi e alla serie televisiva de “Il Commissario Ricciardi” sono stati, pensando anche alla frase di Mister Vujadin Boskov “squadra che vince non si cambia”, il regista Alessandro D’Alatri con gli attori Antonio Milo nei panni del gigante buono “Brigadiere Maione” e Adriano Falivene nelle vesti del passionale e scaltro “femminello” chiamato “Bambinella”. Unica eccezione per il consolidato team, l’aggiunta della giovane attrice Elisabetta Mirra nei panni di Melina, una cameriera ancora ragazza arrestata da Maione perchè colpevole dell’uccisione nel sonno del suo datore di lavoro, il marchese di Roccafusca.
Riuniti insieme in uno scantinato per sfuggire all’ennesimo bombardamento, i tre personaggi danno vita a una sorta di processo durante il quale, con Maione nel ruolo dell’accusa, Bambinella nei panni di avvocato difensore e la ragazza pronta ad esporre i fatti, emergono alcune riflessioni divise tra la vita, la morte e la fede.
Un’analisi attenta e meditata, quella di Maione e Bambinella circa le azioni di Melina, che tuttavia si avvale di un giudice silenzioso davvero d’eccezione: una statua della Madonna Addolorata con le sue sette spade conficcate nel cuore, lì riposta in attesa di una sistemazione. Pronti a confermare le loro caratteristiche interpretative, gli attori Milo e Falivene, ben hanno riprodotto in teatro le gesta dei due personaggi tanto amati dai lettori di De Giovanni e dal pubblico del “Commissario” in Tv.
Così come la giovane Elisabetta Mirra che, posta dinanzi a una prova d’attrice non certo facile, è riuscita nell’intento di offrire alla sua “Melina” quei toni dolorosi e drammatici di chi è bersagliato dalla sorte, mettendo in scena quella freschezza giovanile di un’interprete lontana dagli stereotipi e dalle insidiose trappole dell’emulazione.
Con la regia di D’Alatri impegnato nel ribadire la grande voglia di umanità e di amore per la vita dei personaggi disegnati da De Giovanni, con le musiche di Marco Zurzolo, le belle scene di Toni Di Pace, i costumi di Alessandra Torella e le luci di Davide Sondelli, l’inedito atto unico “Mettici la mano”, proprio quando sembrava che il teatro dovesse morire, ha condotto il pubblico in un mondo vero fatto di umanità e speranza.
Partendo dal Brigadiere Maione, che volendo ritornare all’eduardiana “Napoli Milionaria” e al suo protagonista, si trasforma a tratti nell’emblematico “’O pate ‘e famiglia”, fino a giungere alla malinconica e al tempo stesso comica “Bambinella” e alla tenera e drammatica Melina, la commedia di De Giovanni ha proiettato sulla platea del Diana i riflessi di una Napoli non più dei mandolini e delle tarantelle, non più delle cartoline e dei panni stesi al sole, ma del riscatto e della ricchezza interiore. Una Napoli dove tutti possano finalmente affermare che la famosa “Nuttata” è passata.
Articolo pubblicato il: 23 Ottobre 2021 16:36