Intervista all’attore e cantante Peppe Barra, che ancora una volta, porterà in scena fino al 6 gennaio al Teatro Politeama, “La Cantata dei Pastori”.
di Giuseppe Giorgio – Un impegno inarrestabile quello dell’attore e cantante Peppe Barra, che ancora una volta, grazie alla sua tenacia ed al supporto di uno storico musicale del genere, come il maestro Nunzio Areni, porterà in scena fino al 6 gennaio al Teatro Politeama, “La Cantata dei Pastori”.
Così, sia pure in un momento storico funestato da guerre, violenza e criminalità, ad esaltare la mistica messinscena, saranno nuovamente le aspettative di chi non intende soccombere dinanzi alle brutture di una società alla sfascio.
In programma nel teatro di via Monte di Dio fino alla Befana, la versione proposta, partendo dall’opera teatrale sacra di Andrea Perrucci, sarà quella riscritta e riadattata dallo stesso Barra con Paolo Memoli.
Tant’è che, con il sottotitolo di “Due ladroni a Betlemme”, il beniamino del pubblico napoletano nei panni del regista ed in quelli del mitico scrivano Razzullo, riproporrà, in coppia con l’attrice Rosalia Porcaro nel ruolo di Sarchiapone, tutte le emozioni di una rappresentazione che affonda le sue radici nella notte dei tempi.
“Sono trascorsi circa 45 anni- ha detto il promotore artistico e produttore della “Cantata”, Nunzio Areni – da quando suonando il flauto ed impersonando il personaggio di Benino presi parte alla famosa edizione diretta da Roberto De Simone.
Uno spettacolo, quello della Cantata che ha rappresentato per me una sorta di investimento umano portandomi a diventare nel tempo, oltre che suo sostenitore, suo produttore e suo divulgatore.
Inoltre, quale docente e direttore di dipartimento del Conservatorio Cimarosa di Avellino, nonché quale produttore e curatore del progetto, approfittando del bando istituito dalla Regione, sono riuscito, dopo un attento esame e dopo la creazione di importanti sinergie tra varie comunità culturali ed i Conservatori di Avellino e Napoli, a fare candidare ‘La Cantata dei Pastori’ quale bene immateriale dell’umanità e quindi Patrimonio Unesco.
Un iter che dopo l’avvenuta consegna di un articolato dossier, culminerà dapprima entro il 31 dicembre con l’inserimento nell’elenco dei pretendenti al titolo e poi, come ci auguriamo, dopo la riunione della commissione, a giugno, con l’inserimento ufficiale nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco.
Credo che la ‘Cantata’, dopo la pizza ed i Gigli di Nola, meriti in pieno il nuovo titolo in quanto, da sempre, dividendosi tra il bene ed il male e presentando la disperazione del popolo, rappresenta motivo di studio per la sua capacità di unire insieme l’aspetto più colto della Commedia dell’Arte e dell’Opera Buffa.
Oggi, grazie ad un artista come Peppe Barra, nel nome della ‘Cantata’ si può iniziare un nuovo cammino affinchè la tradizione popolare non venga dispersa”.
Al contrario di quanto sostenuto da Benedetto Croce, che già ai suoi tempi considerava superata la Cantata, come spiega il suo resistere nei secoli?
“La Cantata – risponde Peppe Barra- resiste nel tempo perché, in quanto rappresentazione sacra, racchiude qualcosa di magico in grado di compiere una naturale evoluzione, preservando nei secoli il suo fascino ed il suo modo di fare cultura”
Come vive la candidatura della Cantata dei Pastori a Patrimonio Unesco?
“Ho da sempre combattuto affinchè la Cantata diventasse più importante. E’ uno spettacolo che sarà sempre attuale. E’ la favola più bella del mondo portatrice di un grande messaggio di amore e di cultura. Ecco perchè la speranza che possa diventare un bene immateriale dell’Umanità, mi riempie di gioia”.
Con la “Cantata dei Pastori”, secondo lei, oggi, cosa giunge al pubblico?
“Un immenso insegnamento di pace, così come da sempre espresso dalla rappresentazione, insieme ad un preciso monito per una società capace di stare vicino alla gioventù di oggi, spesso abbandonata ai peggiori”.
Partendo dalle emozioni della sacra commedia e dalle note e le parole finali di “Quanno nascette Ninno”, quale potrebbe essere il suo augurio per il prossimo Natale?
“Scritta da un Santo come Alfonso Maria de’ Liguori, in grado di parlare anche alle bestie e di infondere qualcosa di buono persino nel profondo del cuore della gente cattiva, la canzone così come la celebre rappresentazione, mi ispirano un augurio per un mondo migliore, con meno violenza e cattiveria e molto più amore per il prossimo”.