8 dicembre 1980, a quarant’anni dalla morte di John Lennon, il suo ricordo è ancora vivo, nella sue canzoni, nelle sue battaglie civili, nella mente di ognuno di noi.
Quando John Lennon fu ucciso aveva appena quarant’anni, e viveva con la sua moglie Yoko Ono al settimo piano di uno degli edifici più belli ed esclusivi di New York, il Dakota Building, sulla 72° strada, nell’Upper West Side, il cui magnifico appartamento dotato di ben quattro camere da letto, affacciava sul Central Park con parziale vista sul “The Lake”.
L’ultimo giorno di John Lennon una serie di incredibili circostanze, si accanirono sul destino della coppia più popolare e discussa del tempo. Intorno le 22.50 dell’8 dicembre 1980, di ritorno da una lavoro in sala di registrazione, John Lennon seguiva a pochi passi di distanza Yoko Ono, quando un pazzo alle sue spalle gli scaricò addosso l’intero caricatore del suo revolver; dei cinque proiettili, quattro colpirono Lennon che gli trapassarono il polmone sinistro.
Non morirà subito ed avrà anche la forza per dire “I’m shot, I’m shot” (mi hanno sparato, mi hanno sparato). Queste, probabilmente, sono state le ultime parole pronunciate da Lennon prima che spirasse al pronto soccorso del Roosevelt Hospital. John Lennon, la mente dei Beatles, che in coppia con Paul McCartney aveva composto la maggiore parte delle canzoni del mitico gruppo di Liverpool, era stato appena ucciso da Mark David Chapman.
I fatti di quel tragico evento
Con fredda e sconcertante determinazione la guardia giurata Mark Champan, con seri problemi psichici, un tentativo di suicidio e depresso (resterà un mistero il fatto che continuasse ad esercitare un mestiere con la pistola, nonostante gli evidenti disturbi mentali) dopo essere stato disarmato dal portiere del “Dakota” che gli urlò disperato e sconvolto “Ma ti rendi conto di cosa hai fatto?”, Chapman con una calma disarmante e assurda rispose semplicemente “Sì, ho appena sparato a John Lennon”.
Senza opporre resistenza, l’omicida ammise subito la sua responsabilità nell’uccisione di Lennon e venne condannato ad una pena che oscillava tra i 20 anni di detenzione e l’ergastolo e, nonostante le ripetute richieste di libertà vigilata, non è mai uscito di prigione.
Il suo gesto ancora oggi appare denso di mistero per l’apparente e scarsa motivazione a compiere questo assurdo delitto, un delitto senza una spiegazione valida, che gettò nel panico tutti componenti dei Beatles, che da quel momento in poi non si sentirono più al sicuro, manifestando rabbia, commozione e sconcerto.
L’uomo del destino di John aveva compiuto il più grande e atroce atto delittuoso dell’anno, aveva eliminato un’icona non solo della musica mondiale, ma anche un attivista politico e paladino del pacifismo che in più di un’occasione si era apertamente schierato contro la guerra del Vietnam, causandogli numerosi problemi con le autorità statunitensi che cominciarono a spiarlo a lungo, insieme alla moglie Yoko Ono.
Considerato un sovversivo e quindi un nemico degli Stati Uniti, tuttavia non riuscirono mai ad espellerlo dal Paese, poiché non furono mai trovate prove che lo accusassero di propaganda sovversiva. Inoltre la sua estrema notorietà, sia come cantautore che come pacifista, era così enorme che risultava molto difficile per le autorità statunitensi liberarsi di un personaggio, tanto amato e osannato da milioni di fan.
Non a caso Lennon non era solo l’ex Beatles, il leader di quel gruppo che aveva segnato un epoca nel mondo della musica, ma anche nel costume, nella moda e nella pop-art arrivando a scrivere e ad incidere ben 186 brani di successo, ma anche l’artista che in poco più di dieci anni da solista aveva confermato, raffinato e migliorato il suo genio musicale, continuando a catalizzare l’attenzione di migliaia di fans che forse lo amavano ancor di più da solista che da componente dello storico gruppo.
Il suo ultimo album “Double Fantasy” che lo riportava sulla scena internazionale dopo ben cinque anni di oblio, ne confermava invece l’ottima forma artistica e lo proiettava verso una carriera artistica ancora più brillante e soddisfacente. Nulla lasciava credere che questo album potesse diventare la scusa subdola e vigliacca per avvicinarsi a Lennon, e chiedergli un autografo.
La terribile notizia della sua prematura morte cominciò a diffondersi rapidamente, e pian piano una folla immensa di fan, incredula, disperata e distrutta dal dolore, iniziò a riunirsi nei pressi dell’ospedale dove si trovava la salma di Lennon e davanti la sua abitazione, al Dakota Building. Hanno ucciso Lennon !!! Queste tre parole piombarono come pietre nei telegiornali di tutto il mondo e, tra sconcerto e incredulità, tutti si rassegnarono alla perdita dell’autore di canzoni immortali come Immagine, Mind Games, Beautiful Boy, Happy Xmas (war is over) e Give Peace a Chance (queste ultime due composte insieme a Yoko Ono), che Lennon compose quando era già terminata l’esperienza con i Beatles.
Sono appena trascorsi quarant’anni da quella tragica morte e il ricordo di Lennon è ancora vivo, così come quello della sua morte, che nessuno potrà mai dimenticare. Quando, dopo circa vent’anni dalla sua morte, mi recai a New York, volli raggiungere il luogo dell’omicidio e, davanti il Dakota Building scattai una fotografia in bianco e nero; l’emozione fu grande e il ricordo triste di quella morte assurda mi riportò indietro negli anni pensando a quel cantante che una volta disse che i Beatles erano più famosi di Gesù Cristo.