La Cappella di San Severo. Uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi nel cuore di Napoli
di Carlo Farina – A pochi passi da una delle più belle ed antiche piazze di Napoli, San Domenico Maggiore, che prende il nome dalla chiesa omonima, a ridosso del palazzo San Severo diSangro, al numero 19 di via F. De Sanctis si trova una delle cappelle più note e misteriose della città di Napoli: la Cappella di Santa Maria dellaPieta` o Pietatella, meglio conosciuta come la cappella di San Severo, certamente uno dei monumenti piu` famosi, misteriosi e tristi visitati a Napoli. Infatti l’ alone di mistero che da sempre circonda queste antiche mura del 500 è strettamente legato alla controversa e popolare figura di un “uomo meraviglioso, celeberrimo nello scrutare i più riposti arcani della natura”: Raimondo diSangro, VII Principe di San Severo. Per l’ importante influenza che questo personaggio ebbe nella creazione della cappella, è necessario soffermarsi brevemente su alcuni aspetti della sua vita. Raimondo nasce il 30 gennaio 1710 a Torremaggiore, in provincia di Foggia
, da Antonio di Sangro e Cecilia Gaetani d’Aragona, famiglie che potevano vantare ascendenti risalenti addirittura al Medioevo, la cui eredità aveva permesso loro di avere una posizione ottimale e di forte autonomia rispetto alle numerose dominazioni che si erano succedute nel corso degli anni nella città di Napoli. Uomo di lettere e scienziato, la sua autorevole figura fu di notevole spicco quando Napoli, tra il vicereame austriaco e la dominazione borbonica, viveva un periodo di grande fermento politico e sociale. Fondò anche una loggia massonica alla quale aderirono nobili e borghesi, prendendo posizione contro l’ inquisizione e per questo calunniato dalla chiesa. Ma l’ aspetto più interessante e misterioso di questo brevissimo accenno alla sua vita è senz’ altro da ricercare nella sua attività di alchimista, che coltivava non con lo spirito del mago o dello stregone, ma con l’ animo dello scienziato che vuole ad ogni costo sperimentare le teorie faticosamente elaborate. Dedicò il suo ingegno e le sue energie alla cappella omonima per la quale volle dirigere personalmente gli artisti che vi operarono, rendendo tutto l’ ambiente ricco di grandi opere e di gustose decorazioni.
Gli avi defunti della famiglia dovevano essere assolutamente sepolti in questa cappella e resi eterni attraverso gruppi marmorei che avrebbero dovuto “congelare” nel ricordo le virtù e gli avvenimenti principali della loro vita. E’ il caso, a questo punto, di soffermarsi sulle due statue presenti agli estremi dell’ altare della cappella. La prima conosciuta col nome di Pudicizia è un’ opera raffinata di gusto rococo del veneto Antonio Corradini, già scultore a Vienna di Carlo VI d’ Austria e a Pozdam di Federico il Grande, il quale, per simboleggiare la Pudicizia ricorse ad una donna coperta da un sottilissimo velo aderente alla pelle come se fosse bagnato, ma che tuttavia dal punto di vista stilistico non ha le caratteristiche della classica bellezza greca. La statua che si vede invece sulla destra dell’ altare, il Disinganno, è opera del genovese Francesco Quierolo succeduto al Corradini, già suo collaboratore, per sopravvenuta morte di quest’ ultimo; anch’ essa espressione tipica del clima rococò pervaso da un vero virtuosismo tecnico che rende il volto della statua di un naturalismo estremo e lo studio anatomico del corpo di una eccellente perfezione. Proprio al centro della cappella è presente, infine, la terza e forse più importante scultura della cappella: il Cristo velato, di G. Sammartino unico artista locale della cappella che pur attenendosi ad una iconografia prestabilita, riesce a realizzare un’ opera completamente autonoma. Il Sammartino nel creare quest’ opera si rifece alla tradizione napoletana, riuscendo a produrre un modello di raffinata e sublime bellezza, rendendo la durezza del marmo di una morbilità alquanto sconcertante, tanto da modellare il velo con una tecnica che lo rende inspiegabilmente un tutt’uno con il corpo della statua, accentuandone nel visitatore la sensazione del pallore della morte. La sola visione di questa meravigliosa e famosissima scultura merita senza alcun dubbio una visita alla cappella di San Severo. L’ultima cosa infine, che vale la pena di vedere si trova in una stanza di un altro appartamento: la camera della Fenice, così chiamata in onore appunto della Fenice, che oltre ad essere un simbolo alchemico, è anche un sacro e favoloso uccello degli Egiziani. Ebbene in tal luogo sono presenti due “macchineanatomiche” o per essere più chiari due scheletri di entrambi i sessi nei quali è possibile osservare chiaramente tutte le vene e le arterie che, per come si sono conservate intatte, rappresentano senza dubbio una singolare opera a livello internazionale. Inoltre è possibile riconoscere chiaramente il cuore, le viscere e tutte le parti interiori del corpo; con l’ apertura del cranio sono visibili poi tutti i vasi sanguigni della testa. Ma la raccapricciante importanza delle due opere sta nel fatto che la conservazione, giunta intatta fino ai nostri giorni, sia dovuta ad una sostanza che lo stesso principe Raimondo pare avesse iniettato nei due corpi. Sostanza che resta a tutt’oggi un mistero irrisolto, anche se più di uno studioso ha voluto azzardare delle ipotesi che però si sono rivelate prive di alcun fondamento scientifico. Un vero rompicapo che si aggiunge ai numerosi misteri che ancora avvolgono la ricerca scientifica. Indipendentemente quindi dal valore storico, sono forse questi insoliti elementi a rendere ancora più affascinante e misteriosa la cappella di San Severo dove, come se non bastasse, una leggenda vuole che le ossa del principe, morto il 22 marzo 1771 nel suo palazzo in piazza San Domenico Maggiore, non trovino riposo nella cappella. E la presenza di alcune botteghe, proprio accanto alla cappella di San Severo, specializzate nella costruzione di bare, ed “esposte” tranquillamente nel vicolo adiacente alla stessa è una semplice coincidenza o c’ è lo zampino del principe? Una domanda velatamente provocatoria, che vuole essere un omaggio a una Napoli non ancora dimenticata, a quella Napoli fitta di storie e maldicenze misteriose, che continua ad affascinare ed impressionare non solo il turista curioso, ma anche il napoletano attento e consapevole dei misteri e delle leggende di una Napoli senza età.
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