domenica, Dicembre 1, 2024

La Coscienza di Zeno con Haber e l’occhio alla Orwell di Valerio

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Giuseppe Giorgio
Giuseppe Giorgio
Caporedattore, giornalista professionista, cura la pagina degli spettacoli e di enogastronomia

Definita come una sfida dallo stesso regista Paolo Valerio, la messinscena de “La coscienza di Zeno” vista al Teatro Bellini con un Alessandro Haber pronto a fondere l’uomo con l’attore, propone tutta l’essenza ironica e surreale del personaggio scaturito dalla penna di Italo Svevo.

Con un grande occhio proiettato sul fondo della scena che, nel rappresentare la figura di quel psicoanalista così fondamentale nella storia di Zeno Cosini, non evita di riportare alla memoria quell’altro famoso occhio del Grande Fratello di Orwell, la commedia si trasforma in una veloce ma profonda rievocazione dei fatti contenuti nel romanzo del 1923.

Grazie ad uno straordinario Haber pronto a fare la differenza nei panni di Zeno già vecchio, a comparire in scena tra flashback e coreografie e al cospetto di un altro Zeno ancora giovane, sono i personaggi che hanno fatto parte della vita di un uomo definibile inetto ed antieroe. Così al cospetto del padre, della suocera, della sua futura moglie sposata senza amore, del cognato e così via, lo Zeno giovane fa posto a quello vecchio ascoltando pure, a proposito dello sdoppiamento uomo- attore, i suoi consigli sulle intonazioni delle sue battute.

In una alternanza tra il Cosini giovane e quello anziano, con il pubblico che si ritrova dinanzi ad una sommaria riedizione teatrale del romanzo a tratti privata di quella severa e tragica analisi operata da Svevo, il lavoro conquista soprattutto per la possente e drammatica interpretazione di Haber. Con gli altri attori Alberto Fasoli, Ester Galazzi, Stefano Scandaletti, Meredith Airò Farulla, Valentina Violo, Emanuele Fortunati, Chiara Pellegrin, Caterina Benevoli e Giovanni Schiavo e con l’adattamento dello stesso Valerio con Monica Codena, la commedia che resterà al Bellini fino al primo dicembre riesce comunque a glorificare l’anima di uno dei romanzi più importanti della letteratura del Novecento.

Tant’è che sul filo della memoria del narratore protagonista e sull’onda dei vari racconti, capaci persino di indurre molti critici a parlare dei diretti influssi di Joyce e Proust su Svevo, ad emergere nella rappresentazione sono pure tutte le simpatie dell’autore nei riguardi delle scoperte e delle teorie psicoanalitiche dei suoi tempi. Ricostruendo le azioni di un gruppo di persone alle prese con una fallimentare società commerciale sulla sfondo della vita triestina compresa tra il 1870 e il 1916, il regista punta tutto sulla raffinatezza dello scrittore e drammaturgo e sulla sua attitudine nel confondere gli impulsi opposti come l’egoismo e la generosità e ancora, come la sincerità e la malafede.

E ciò senza fare a meno di un persistente umorismo come quello, ad esempio, scaturito dalle avventure sentimentali di Zeno con le due sorelle Ada e Augusta. In grado di esaltare l’abbandono all’irrazionale di Sevo, la versione teatrale del suo romanzo diretta da Valerio, alla fine conquista gli applausi del pubblico e con essi la consapevolezza di aver comunque ben rappresentato colui che rifiutando la composizione classica si lasciò andare spesso al gioco dell’inconscio.

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