Le origini del Carnevale, il periodo di festa che va dall’Epifania al digiuno Quaresimale nei paesi a prevalenza cattolica, sono molto antiche e affondano le radici nella storia d’Italia a cavallo tra il XVII e il XIX secolo, che per tradizione è sempre stato riservato agli svaghi e al divertimento consumati generalmente in maschera.
Attraverso questa semplice maschera nera dal naso lungo e adunco in contrasto con l’ampio camicione bianco, i napoletani hanno elaborato nel corso dei secoli l’immagine più completa e rappresentativa di se ste
che spesso è identificato come il “guardiano” della casa e della bottega, è il difensore della comunità, è la voce del popolo, di quel popolo stanco, oppresso e affamato, che cerca una rivincita e un sollievo dai soprusi dei padroni.
E’ tra i simboli più forti e conosciuti della città di Napoli, tuttavia Pulcinella Cetrulo (questo il nome completo) nasce ad Acerra, piccola località al confine con la città partenopea, con la quale alla fine si è identificato in tutta la storia teatrale.
Secondo un antico mito, il Cetrulo nasce dalle viscere del Vesuvio, fuoriuscendo dal guscio di un uovo per volontà di Plutone. Questo spiegherebbe quella certa essenza diabolica (e le viscere del Vesuvio rappresentano proprio la bocca dell’inferno) che trova conferma nello stesso stravagante e fisiognomico abbigliamento bianco di Pulcinella.
Il folle, sciocco e buffone personaggio dalla maldestra maschera nera, fuori dalle regole sociali, tuttavia nella sua lunga storia di oltre tre secoli, ha avuto come interlocutori personaggi potenti e pericolosi come re, principi, giudici, dottori, sbirri e perfino oscuri padroni, di cui si è fatto gioco attraverso il suo “nobile” farfugliare, attraverso i suoi sguaiati e irriverenti gesti accompagnati da maldestri risi e gustose goffaggini corporee.
Per questo agita con forza e impegno tutti quegli oggetti idonei a produrre quanto più rumore possibile, dai campanacci al bastone, dalle nacchere al tamburello, dal triccaballacco allo “scetavaiasse”, fino al colascione, alla zampogna e al celeberrimo “putipù”.
E naturalmente la sua danza, quella che più gli confà è proprio la napoletanissima tarantella. La danza più allegra e partenopea per antonomasia, quella che gode della maggior libertà di movimento, quella demandata a guidare i lunghi e festosi cortei carnevaleschi, una delle funzioni “speciali” di Pulcinella, una figura, nello stesso tempo, di ordine e di disordine, di buffone e di dotto, di stupido e di saggio.
Le due vite di Pulcinella quindi, quella teatrale e quella carnevalesca, si svolgono in maniera indipendente ma parallela, attraverso un continuo scambio di reciproche influenze, che ritroviamo soprattutto nel teatro di Antonio Petito ed Eduardo De Filippo.
Due figure importantissime e fondamentali del teatro italiano, che hanno saputo sfruttare ampiamente e con grande competenza e maestria, la maschera di Pulcinella, inserendo nelle loro commedie intere scene di carattere carnevalesco, contribuendo alla rinascita e rivalorizzazione di un teatro come serbatoio di battute e trovate sempre più originali e divertenti, ma senza mai tralasciare il significato reale, malinconico e sociale della funzione vera del teatro, quella della Comedia della vita.
Lo stesso Totò ed Eduardo spesso li abbiamo ritrovati nei panni di Pulcinella, che con la loro forte umanità e la loro immensa opera di attore e autore, hanno incarnato il dolore, la speranza, la paura e il coraggio del popolo napoletano e quindi del mondo intero.
Articolo pubblicato il: 20 Febbraio 2017 7:00