Al Teatro San Carlo debutta il capolavoro cinematografico tratto da libro di De Crescenzo, “Così parlò Bellavista”.
Davvero fortunata la perseveranza di Benedetto Casillo ed Alessandro Siani, nel chiedere al loro amico Geppy Gleijeses, di riportare in teatro il capolavoro cinematografico tratto da libro di De Crescenzo, “Così parlò Bellavista”.
Tant’è che create le premesse adatte, il lavoro diventato commedia e presentato al Teatro San Carlo, ha davvero suscitato, in concomitanza con il compleanno dell’ormai novantenne genio della letteratura filosofica, una serie di emozioni e di segnali positivi per una Napoli in pieno fermento artistico e culturale.
Ecco perchè, detto ciò, occorre subito chiedersi se al San Carlo, le emozioni provate alla prima della versione teatrale del celebre “Così parlò Bellavista”, siano state le stesse (inevitabile l’accostamento) di quel lontano 25 marzo 1945. O per meglio dire, di quando, sempre nello storico Massimo cittadino, Eduardo presentò per la prima volta ai napoletani la sua “Napoli Milionaria”.
Chissà, quindi, se l’attore e regista Geppy Gleijeses, al debutto, ricordando il suo maestro Eduardo De Filippo, abbia pensato alle sensazioni di quella magica serata, guarda caso, anch’esse relative, sia pure in termini diversi, ad una Napoli da rifare e ad una società in cerca di nuovi valori e dignità.
Nel riportare in scena la commedia tratta dal film del neo novantenne Luciano De Crescenzo, non più nei panni del giovane Giorgio, mai in quelli del mitico Professor Bellavista, Gleijeses avrà avuto, quindi, certamente nella mente i principi e le ispirazioni di un filosofo moderno, poeta, romanziere regista incredibilmente universale.
Al San Carlo, alla prima uscita ufficiale della commedia, con la parola d’ordine di evitare a tutti i costi il timore reverenziale scaturito dal romanzo e dall’immensa pellicola, l’attore e regista, ha da subito offerto al pubblico l’impressione di volere proporre un’opera distaccata, serenamente smaliziata e puramente teatrale.
Una commedia, insomma, dove, pur rimanendo vive le citazioni del romanzo e del susseguente film, a dominare fossero solo un tipo di comunicazione verbale ed una mimica in grado di affascinare il pubblico e di trascinarlo su dei sentieri, sia pure conosciuti a memoria, in modo leggero e felice.
“Così parlò Bellavista” con lo spazio scenico curato da Roberto Crea e riproducente l’interno del Palazzo dello Spagnolo ai Vergini, con le musice di Claudio Mattone e l’adattamento teatrale dello stesso Gleijeses, teso a ripercorrere liberamente i tratti della sceneggiatura firmata da Riccardo Pazzaglia, è risultato più che mai privo di sostanziali sconvolgimenti.
Con un elegante e disinvolto Gleijeses nei panni di Bellavista e con Marisa Laurito in quelli della moglie, a fare bella figura in scena sono stati Benedetto Casillo, nuovamente nei panni del leggendario “vicesostituto portiere” di nome Salvatore ed ancora, Nunzia Schiano, Salvatore Misticone, Gianluca Ferrato, Vittorio Ciorcalo, Patrizia Capuano, Elisabetta Mirra, Gino De Luca, Gregorio De Paola, Agostino Pannone, Ester Gatta e Brunella De Feudis.
Per gli spettatori, una commedia che ha beneficiato di un ottimo lavoro corale e che prodotta da Alessandro Siani, Sonia Mormone e dalla Gitiesse, ha portato di nuovo alla memoria le immagini di una Napoli sognatrice insieme a quelle di personaggi immutabili nei secoli. Fotografando antropologicamente e satiricamente i lati più nascosti di una città chiamata Napoli ed indagando su di una società malata, “Così parlò Bellavista” si inoltra in un mondo ora corrotto e belligerante ora poetico e filosofico.
Portando in una scena dichiarata “luogo della mente” le immagini di una realtà da dove sembra difficile fuggire, la commedia, con i personaggi che viaggiano al contrario delle leggi e con altri che fanno della filosofia spicciola il motivo dominante della propria esistenza, ha saputo evidenziare quell’imperante desiderio di benessere e dignità tutto napoletano. Quel desiderio di rivincita di una Napoli spaccata a metà tra purezza e corruzione, che rivendica ancora una volta l’antica onorabilità insieme al valore di sentimenti immutabili e senza tempo.