La cucina a Napoli ha una tradizione secolare: “Il napoletano non direbbe mai andiamo a mangiarci una pizza, bensì andiamo a “farci” una pizza”.
Il momento del mangiare a Napoli, sia stato esso ricco di illustri e golosi commensali o fatto di stenti, desiderio e sofferenza, ha da sempre costituito un ruolo fondamentale capace di andare ben al di là della semplice necessità fisiologica.
Un esempio? Il napoletano non direbbe mai andiamo a mangiarci una pizza, bensì andiamo a “farci” una pizza, quasi per sottintendere una partecipazione profondamente spirituale all’atto che di lì a poco si sta per compiere.
Ebbene, fatta questa breve premessa e osservando il mondo del teatro, è facile evidenziare come nelle produzioni teatrali di chiara matrice classica partenopea, l’elemento della tavola e del convivio domestico, regolare o sognato, ricco o povero, rimane nel tempo diffusamente utilizzato.
Basta ricordare la celebre “Miseria e Nobiltà” di Scarpetta in cui i poveri Don Felice Sciosciammocca insieme con gli sfortunati familiari Pasquale, Concetta e Pupella, in preda alla più nera della miseria, si avventano su di una tavolata giunta quasi per soprannaturale volere.
E ancora, basta pensare alla celebre “Napoli Milionaria” di Eduardo De Filippo, alla sua famosa “Natale in casa Cupiello”, fino a giungere all’altrettanto emblematica ”Sabato, domenica e lunedì” dove tra i protagonisti a elevarsi, oltre alla tavola, c’è anche una specialità di chiaro gusto napoletano chiamata “ragù”.
Anche ne “Il Sindaco del Rione Sanità” il maggiore dei De Filippo non esita a inserire il momento del convivio lasciando che il terribile finale della sua commedia si compia proprio durante una tavolata in casa del temuto Antonio Barracano che, sia pure ferito a morte, rifiuta ogni soccorso per non abbandonare il suo ruolo di capotavola simbolo di superiorità e potere.
Anche Viviani non venne meno alla regola con la sua “Tavola dei Poveri” così come Peppino De Filippo che volle inserire la tavola in alcuni dei suoi celebri atti unici. Pure il mondo della canzone, naturalmente, non sì è sottratto a questa specie di regola tant’è che nei secoli sono stati molteplici i motivi e i testi di successo che hanno fatto riferimento alla tavola e alle specialità gastronomiche siano esse da ristorante o trattoria siano esse da pasticcere o cioccolataio. L’elenco è ben lungo e qui di seguito a essere riportati sono soltanto alcuni dei brani più famosi.
Campagnata napulitana di Murolo-Tagliaferri del 1919
Napule ca se ne va di Murolo-Tagliaferri del 1920
’O menù di De Flavis-Nardella del 1924
Succede a Napoli di E.A. Mario del 1949
Tiritì-Tiritommolà di Di Giacomo-Di Capua del 1890
Evviva i maccheroni di Gigliati-Barile del 1940
Guì! Guì! di Guarino-Gambardella del 1902
Maccheroni che passione di Garofalo-Campanino del 1949
’A pizza c’’o segreto di E.A. Mario del 1948
’A pizza c’’a pummarola di Pazzaglia-Modugno del 1957
’A pizza di Testa-Martelli del 1966
Brinneso di Bovio-Valente del 1922
’O vino nuovo di Letico-Cioffi del 1933
’A sfogliatella di De Gregorio-Genta del 1953
’A vetrina d’’o pasticciere di Vento-Albano del 1927
Ciucculatina mia di Pisano-Cioffi del 1934
’A tazza ‘e cafè di Fiordalisi- de Gregorio del 1894
’O ccafè di Pazzaglia- Modugno del 1957
Oggi, purtroppo, di autori di canzoni che trovino il tempo di dedicarsi per le loro composizioni alle specialità gastronomiche e alle delizie del palato pare se ne sia persa ogni traccia.
Tuttavia come ultimo esempio è bene ricordare, anche se il testo non è in lingua napoletana, bensì in un comicamente approssimativo brasiliano, quella popolare canzone di Renzo Arbore e Claudio Mattone, intitolata “Cacao meravigliao”.
Un vero successo cantato da una pressoché sconosciuta Paola Cortellesi insieme a un nascente Nino Frassica, inserito nella trasmissione cult Rai “Indietro tutta” che a partire dal 1987 indusse un’infinità di persone, nonostante il prodotto citato nel testo fosse del tutto immaginario, a cercarlo disperatamente nei negozi e nei supermercati.
Articolo pubblicato il: 14 Ottobre 2020 13:40