Nell’epoca di Internet, il digitale ha cambiato le nostre abitudini, cancellandone alcune e trasformandone altre. Anche qualche usanza popolare ha subito il fascino della rete, adattandosi alla velocità del web. Un esempio? Le catene di Sant’Antonio.
di Maria Sordino – Chi non ricorda le lettere nella cassetta della posta, scritte a mano, che promettevano disgrazie e sfortune a chi non avesse inoltrato, a un certo numero di persone, la stessa missiva? Quanti di noi le hanno strappate e quanti, invece, si sono sottomessi al superstizioso rituale?
«Per favore avvisa tutti i contatti della tua lista di non aprire il video chiamato ”La danza di vottary”’. È un virus che formatta il tuo cellulare. Attento è molto pericoloso, lo hanno annunciato oggi alla rai tv. Diffondi a tutti come puoi!».
«Sabato mattina WhatsApp diventerà a pagamento! Se hai almeno venti contatti manda questo messaggio a loro. Così risulterà che sei un utilizzatore assiduo e il tuo logo diventerà blu e resterà gratuito».
«Giralo per favore. Bimbo 17 mesi necessita sangue gruppo B positivo per leucemia fulminante, fai girare l’sms per favore è urgente. Inviala a tutti i tuoi numeri è importantissimo».
Le catene di Sant’Antonio sono nate nella prima metà del Novecento con intenti diversi da quelli che oggi conosciamo: la distribuzione a catena di lettere ad amici e conoscenti era ispirata da finalità religiose, per ottenere benefici e grazie ultraterrene (da qui il nome). Chi la riceveva doveva recitare “tre Ave Maria a Sant’Antonio” e proseguire la diffusione per godere di una vita rosea; l’interruzione della catena avrebbe invece causato disgrazie. In tempi più recenti, negli anni ‘80 e ‘90, sono diventate il divertimento dei ragazzini: eliminata la componente strettamente religiosa, con lo stesso meccanismo veniva inoltrata una lettera, pressoché identica a quella ricevuta, ad un certo numero di amici, con l’invito a continuare la diffusione della catena.
Qualche anno fa, la Cassazione si è occupata delle Catene di Sant’Antonio relative al web surfing e, con la sentenza numero 37049/2012, le ha dichiarate illegali. In realtà, nel caso di specie si trattava di un utilizzo un po’ troppo furbesco del mezzo e le catene incriminate erano utilizzate, da parte dei titolari di alcuni siti web, per l’accaparramento di nuovi clienti tramite la promessa di incentivi a tutti gli iscritti che avrebbero reclutato i loro amici, invitandoli con catene a far parte della piattaforma.
Articolo pubblicato il: 4 Luglio 2017 22:37