Dal 7 al 13 marzo settimana mondiale della prevenzione del glaucoma, una malattia degenerativa che colpisce entrambi gli occhi.
“In questo anno di pandemia il Covid ha avuto un importante impatto negativo sull’andamento della malattia glaucomatosa”. “Lo afferma Stefano Miglior, presidente dell’Associazione Italiana Studio Glaucoma. Per la settimana mondiale di prevenzione, AISG organizza “AISG SPOT 2021”, un Webinar di quattro giorni per discutere di glaucoma in tempo di Covid e nuove terapie e tecniche chirurgiche sul ‘ladro silente della vista’.
Dal 9 al 12 marzo, i maggiori esperti nazionali di Glaucoma si riuniranno via web per condividere le esperienze su cosa è accaduto in questo anno di pandemia. “E’ esperienza condivisa da tutti gli specialisti oculisti – afferma Stefano Miglior, presidente AISG – che nel primo lock down molti ambulatori e reparti ospedalieri sono stati chiusi e molti pazienti sono stati impossibilitati ad effettuare i controlli presso i loro centri di riferimento ed anche se c’era la possibilità di uscire per comprovati motivi strettamente legati alla salute. I pazienti disorientati e impauriti dal rischio di contagio hanno saltato le visite di controllo e a volte anche interrotto la terapia farmacologica, e rinunciato a quella chirurgica. La terapia chirurgica, che spesso è riservata ai casi più complicati, si è ridotta drasticamente, mettendo a rischio i pazienti di andare incontro a peggioramenti a volte anche devastanti del loro campo visivo” – fa notare Stefano Miglior. “Ricordiamo – avverte l’esperto – che un glaucoma non monitorato e controllato con la terapia farmacologica o chirurgica porta alla cecità irreversibile…e il glaucoma non aspetta”.
Che cos’è il glaucoma?
Il glaucoma è una patologia degenerativa che generalmente coinvolge entrambi gli occhi determinando danni permanenti al nervo ottico, che nel tempo possono portare a ipovisione e cecità. Il 50% dei pazienti non sa di averlo e il 20% è esposto al rischio concreto di perdere la vista. Colpisce principalmente le persone di oltre 40 anni ed oggi è la seconda causa di cecità nei Paesi industrializzati. In Italia ne soffrono 1 milione 200 mila persone e circa 55 milioni ne sono afflitti a livello mondiale
Ma quali sono le nuove armi nella terapia medica del glaucoma?
“A tutt’oggi nuove armi nella terapia medica del glaucoma non sono ancora state introdotte in Italia”, riferisce Stefano Miglior. “Abbiamo a disposizione una significativa batteria di molecole che, in mono-terapia o terapia combinata, permettono di gestire un numero elevato di pazienti. Ricordiamo i derivati delle prostaglandine, i beta-bloccanti, gli alfa-stimolanti, gli inibitori dell’anidrasi carbonica, tutti utilizzabili sotto forma di collirio. All’orizzonte sono in arrivo due classi di molecole, gli inibitori delle Rho -Kinasi e l’ossido nitrico. La prima permetterebbe di ottenere una riduzione della pressione oculare nell’ordine del 25% rispetto ai valori basali, facilitando il deflusso dell’umore acqueo e possibilmente riducendo la pressione delle vene episclerali.
Verrà proposto sia in mono-terapia che in associazione con il Latanoprost (derivato delle prostaglandine) al fine di ottenere un significativo effetto additivo fra le due molecole. La seconda permetterebbe di ottenere una riduzione della pressione oculare grazie alla diretta attivazione del deflusso trabecolare, ma a tutt’oggi non sembra che verrà sviluppata come mono-terapia, piuttosto in associazione al Latanoprost, con cui ha dimostrato di poter ottenere un additivo abbassamento pressorio di circa 1 mmHg rispetto a quanto ottenibile dal Latanoprost in mono-terapia.”
“Per quanto riguarda la diagnosi – il presidente Stefano Miglior spiega che – “le metodiche diagnostiche del Glaucoma sono sempre non invasive. La diagnosi o il sospetto diagnostico si basa sempre sulla valutazione clinica oftalmologica da parte dell’oculista e si fonderà sull’osservazione dello stato della Papilla Ottica durante una normale visita oculistica, sul risultato dell’esame del Campo Visivo e sulla misurazione della pressione oculare”.
E sul di diagnosticarla precocemente elenca i seguenti fattori:
1. l’individuo sano (fino a questo momento non ancora definibile come paziente) deve farsi visitare dall’oculista con una cadenza almeno bi-annuale una volta superati i 40 anni (è una soglia arbitraria, ma almeno fa riferimento al momento in cui l’intera popolazione comincia ad avere problemi di presbiopia o difficoltà alla lettura ravvicinata);
2. nel caso in cui il clinico dovesse osservare una papilla ottica “sospetta” con possibili segni di danno glaucomatoso (qualunque sia il valore della pressione oculare), verranno richiesti due esami, quello del Campo Visivo, e quello di Imaging della papilla ottica e delle fibre nervose retiniche (OCT), la cui corretta interpretazione permetterà di definire l’individuo esaminato come “affetto da glaucoma”, “sospetto glaucoma” o “sano”;
3. nel caso in cui il clinico dovesse osservare una papilla ottica “normale” ed un valore della pressione oculare elevata (superiore a 21 mmHg), verranno richiesti due esami, quello del Campo Visivo, e quello di Imaging della papilla ottica e delle fibre nervose retiniche (OCT), la cui corretta interpretazione permetterà di definire l’individuo esaminato come “sospetto glaucoma” o “iperteso oculare” (una categoria di individui caratterizzati da papilla ottica e campo visivo normali, però con una pressione oculare ripetutamente > 21 mmHg, che hanno un rischio più elevato di sviluppare il glaucoma nel corso degli anni);
4. nel caso in cui il clinico dovesse osservare una papilla ottica “con chiari segni di danno glaucomatoso” qualunque sia il valore della pressione oculare, verranno richiesti due esami, quello del Campo Visivo, e quello di Imaging della papilla ottica e delle fibre nervose retiniche (OCT), la cui corretta interpretazione permetterà di confermare che l’individuo esaminato è “affetto da glaucoma”.
“In questo caso però non potremo più parlare di diagnosi precoce, ma di diagnosi di malattia ad uno stadio decisamente più avanzato, per cui alla fine si tratterebbe di una “diagnosi tardiva. Come si può quindi capire – afferma Stefano Miglior – la diagnosi precoce è basata esclusivamente su tre fattori: disponibilità dell’individuo sano a sottoporsi a visite oculistiche di controllo ripetute nel tempo (se l’individuo è a conoscenza di parenti stretti affetti da glaucoma, farebbe bene a cominciare a farsi visitare già in età giovanile);-esperienza del clinico oculista che visita il presunto paziente; corretta interpretazione dei risultati degli esami di riferimento (Campo Visivo ed OCT) in rapporto ai dati clinici osservati sul presunto paziente (valutazione della papilla ottica, della pressione oculare e di altri dati qui non riportati per esigenza di sintesi)”.
Le raccomandazioni di AISG
AISG raccomanda quanto segue ai fini di una pronta e corretta diagnosi di glaucoma o di rischio di poter sviluppare glaucoma e ai fini di una migliore gestione della malattia.
1. l’individuo sano deve farsi visitare dall’oculista almeno bi-annualmente a partire dai 40 anni (chi ha una familiarità positiva per glaucoma dovrà cominciare a farsi visitare in età giovanile).
2. ai miopi è consigliato farsi visitare già dai 20 anni di età, ma è pur vero che chi è miope tenderà a farsi visitare più frequentemente e più precocemente soprattutto per problematiche di ordine visivo.
3. rendersi conto che nella gestione più appropriata del glaucoma è necessario ottenere una riduzione della pressione oculare che sia clinicamente significativa e il cui valore assoluto dipende da vari fattori (stadio della malattia, valori basali della pressione oculare, fattori di rischio concomitanti, aspettativa di vita del paziente e velocità dell’eventuale peggioramento del danno funzionale del campo visivo nel corso del tempo).
4. rendersi conto che quando il glaucoma peggiora vuol dire che la pressione oculare non è ottimale e deve essere ulteriormente abbassata, cosa che spesso comporta la necessità di un intervento chirurgico.
5. ricordarsi che oggi è possibile cercare di ottenere una maggior resistenza delle strutture nervose che si danneggiano nel corso della malattia con specifiche molecole neuroprotettrici, il cui utilizzo, in supporto alla tradizionale e necessaria strategia terapeutica ipotonizzante, potrebbe aiutare a rallentare l’eventuale progressione del danno funzionale.