Una mostra mai realizzata prima, così ricca ed esaustiva nella sua ricerca storica e archeologica, sul popolo che forse più di tutti nell’Alto Medioevo, tra quelli calati in Italia con le invasioni barbariche, ha inciso sui costumi, la cultura e ha cambiato di fatto la Storia d’Italia, mancando però l’unita nazionale: i Longobardi, al MANN fino al 25 marzo.
Nell’Italia spopolata, scevra di forza politica e militare, e impauperita da guerre e carestie, arrivarono nel VII secolo d.C. i Longobardi, popolo figlio del Mare Magnum Germanicum di Tacitiana memoria, che rifondò la prima unità statale dai tempi del crollo dell’Impero Romano e delle brevi, nonché fragili parentesi ostrogote e bizantine. Un’esperienza durata fino alla sconfitta carolingia, e all’assorbimento dell’Italia centrosettentrionale nell’Impero dei Franchi di Carlo Magno, che avrebbe potuto gettare le basi di un futuro diverso per la penisola, unificandola come accadde altrove per altri paesi – vedi Francia, Inghilterra, persino la Spagna in un certo senso – senza dover aspettare 1000 anni per riprovarci seriamente con la monarchia sabauda.
La Storia prese un altro corso, si sa, e forse il Papato ebbe più di una voce in capitolo e in merito, con l’opposizione interna, le pretese costantiniane di superiorità spirituale sui regnanti, e la chiamata dei Franchi invasori a difendere l’Esarcato, primo nucleo del Patrimonium Petrii che diventerà Stato della Chiesa.
Molto è rimasto però di quel progetto e di quella convivenza tra barbari e latini, germani e romani, nuovi dominatori e sudditi servi del Regno romano-barbarico. Nella toponomastica e nell’urbanistica, in una regione italiana che da loro prende il nome, nella cultura, nelle parole – il peso delle parlate di superstrato germanico sul latino che si trasformò poi in volgare italico – e nelle leggi: l’editto di Rotari ad esempio abolì la faida e introdusse il guidrigildo, il risarcimento pecuniario alla vittima. Ma è nell’arte, come spesso avviene in occasione di scambi e fusioni tra popoli, che diedero il meglio, così come nei secoli successivi divennero ottimi mercanti e abili banchieri, così rinomati in Europa da meritarsi la Lombard Street nell’antica Londinium, capitale del regno inglese. La Londra di oggi conserva ancora quella via, memore dei fasti bancari, quando mezza Italia prestava, attraverso Repubbliche mercantili, Signorie e Comuni operosi, soldi ai sovrani anglosassoni.
L’esposizione museale conferma proprio quella magnificenza artistica, già risaputa e ben illustrata nei libri di Storia e soprattutto in quelli di Storia dell’Arte, con le splendide fibule e i monili prodotti dagli orafi longobardi, i bassorilievi a tema vegetale e animale di gran raffinatezza. L’influenza gotica bizantina è evidente, e accompagnerà tutta la scultura e l’arte decorativa medievale in Italia e nel continente: siamo nell’Evo Medio, l’età della trascendenza che si traduce in fissità metafisica dei volti, nel mosaico come nelle statue e nelle raffigurazioni marmoree.
A colpire, insieme alle riproposizioni degli abiti d’epoca, fogge che aiutano a immaginare gli italici di allora, sono in particolare i ritrovamenti di tombe di guerrieri in cui, accanto allo scheletro umano, figurano anche quelli del suo cavallo e talvolta dei cani: un’usanza germanica arrivata fino in Italia, al parti delle lavorazioni in vetro cuneiformi o a mo’ di corno, ancora presenti in Germania e usate oggi per servire la birra e altri alcolici.
Dopo il grande successo a Pavia e in attesa di approdare a San Pietroburgo, questo percorso espositivo avvolgente e avvincente è già da due mesi a Napoli, città che rimase Ducato legato a Bisanzio e poi via via sempre più indipendente, ma in costante contatto con l’antica Beneventum, capitale della Langobardia minor. L’attuale Benevento fu, infatti, insieme al Principato di Salerno, una delle roccaforti longobarde nel Mezzogiorno, distante e perciò poco controllata da Pavia, sede storica dei re longobardi. Sopravvissero allo sfacelo del regno di Desiderio e all’alba del Sacro Romano Impero, ma entrambe le compagini campane furono poi travolte dall’ondata normanna che avviò la prima unificazione nazionale: quella del Meridione, compatto fin dall’anno Mille in un’unica realtà politica, a differenza del resto della penisola.