Intervista al grande drammaturgo Manlio Santanelli: “Si ritornerà agli appuntamenti di sempre del teatro e vi sarà certamente una rinnovata carica d’entusiasmo».
In grande armonia con la lingua italiana e quella napoletana, Manlio Santanelli, oltre che componente di quel meraviglioso manipolo di autori fondatori della “Nuova Drammaturgia Napoletana”, va sicuramente definito come uno dei maggiori autori contemporanei di respiro europeo.
Grazie ai suoi testi, dove la poesia e la sottile comicità coesistono con una drammaturgia di stampo partenopeo e un teatro moderno dal penetrante carattere internazionale, l’autore di opere teatrali come “Uscita d’Emergenza”e “Regina Madre”, sembra percorrere, a tratti, gli stessi sentieri che furono di Genet, Proust e Pinter.
Con le sue commedie in bilico tra la follia umana e la visione paradossale della realtà, Santanelli, mostra evidente la voglia di scongiurare quella paura esistenziale insita in ogni essere umano.
Con i personaggi dei suoi lavori, che nel tentativo di eliminare dalla loro coscienza un atavico senso di malessere provano a sfuggire da una non identificata realtà, Santanelli porta in scena dei conflitti pronti a tramutarsi in sfide per agguantare la verità.
Arguto e più che vicino a quel contesto definito da Martin Esslin “Teatro dell’Assurdo”, con i suoi dialoghi dalla travolgente musicalità, si conferma come uno straordinario fomentatore di menti e coscienze ai danni di una società esitante ed incerta.
Ufficialmente grande drammaturgo ma con un passato di assistente di regia alla Rai e una più che confessata passione per la poesia, i romanzi, la chitarra classica e la canzone napoletana cantata e studiata, anche in questo periodo buio della pandemia, Manlio Santanelli conferma il personale estro con il suo acuto modo di osservare la situazione e di intravedere le ripercussioni future.
«Un momento in cui il tempo sembra sospeso. Tutto gira come in assenza di gravità privato del proprio peso».
«La vivo nella consapevolezza di una totale assenza di prospettive. L’autore di teatro vive con le messe in scena, con le repliche dei suoi lavori, con le prove da condividere con gli attori. Per un autore è tutto più amaro. Lavorare a casa da solitario è come attraversare un mare senza approdo».
«Non credo vi saranno difficoltà perchè quando tutto sarà finito, crescerà il bisogno delle antiche consuetudini. Si ritornerà agli appuntamenti di sempre per ricostruire la propria identità e interezza spirituale. Sarà necessario tornare alla cultura e alla cultura del teatro. Qualche difficoltà la si troverà con i giovani ma per quanto concerne i fruitori soliti del teatro vi sarà certamente una rinnovata carica d’entusiasmo».
«Ho in mente un paio di ipotesi da realizzare anche se riguardano lavori che ho già scritto. Ho tanti testi da portare ancora in scena e non ho inteso scrivere niente ispirandomi alla pandemia. Scrivere sul Covid avrebbe rappresentato una forma di sfruttamento, una sorta di vampirismo. Un succhiare malessere da chi lo vive con dolore e dignità. Ripeto ho già tanti lavori da riproporre come ad esempio “Uscita d’emergenza” capace, guarda caso, di esaminare con i suoi due personaggi la paura di uscire di casa. Una paura che da mentale si trasforma in psicologica».
«Svolgendosi nelle case in condizioni non compatibili con le norme sanitarie, ha subito una battuta d’arresto. In ambito teatrale è stato tra i primi a fermarsi. Ma non appena avremo il via libera saremo più che pronti per una ripartenza».
«Al riguardo sono pessimista. Nei primi tempi si vivrà una specie di rigenerazione della società, poi, presto, riprenderanno corpo gli aspetti meno validi del nostro vivere comune e tutto tornerà come prima. Agli inizi ci sarà un rilancio culturale ma alla fine, a prevalere, saranno nuovamente tutte quelle carenze intime degli italiani da sempre legate al loro Dna».
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