Mariano Rigillo, attore, regista e direttore della Scuola del Teatro Stabile di Napoli, esprime il suo avvilimento per le restrizioni prescritte ai teatri.
Il tragico stop ai teatri, ai cinema e ai luoghi di cultura voluto dal Governo quale discussa misura di difesa contro la nota pandemia, continua a suscitare polemiche e interrogazioni. Tant’è che preso atto di una situazione decisamente drammatica e dannosa, sono in tanti, tra i grandi personaggi del settore, a far sentire il personale pensiero circa un evento che non ha mai avuto precedenti.
Così, mentre si levano alte dagli operatori del comparto le grida inneggianti alla ripresa e ai provvedimenti, a esprimere il suo avvilimento per le restrizioni prescritte ai teatri, c’è anche un gigante del palcoscenico, come l’attore e regista Mariano Rigillo, tra l’altro, già direttore della Scuola del Teatro Stabile di Napoli.
Il fermo governativo per i teatri, secondo lei, quali conseguenze produrrà sull’arte dello spettacolo e sui lavoratori del settore?
«Io, al proposito, sono molto preoccupato. Come prima conseguenza questo stop continuerà a causare una miseria diffusa nella categoria. C’è chi non lavora da un anno e mezzo considerato che la stagione scorsa è saltata e probabilmente così accadrà anche per buona parte della prossima.
La categoria vive delle condizioni precarie in maniera distesa. Nessuno capisce che non si risolve il problema dando soldi ai teatri perchè il vero problema è dei singoli attori. Soprattutto dei giovani che non hanno ancora un lungo percorso alle spalle e quindi non hanno avuto l’occasione per accantonare risparmi da utilizzare in questo periodo di non lavoro che dura ormai da troppo tempo.
Una seconda preoccupazione si genera in me per l’aspetto artistico del problema. Tutti dicono che si deve ricominciare daccapo e non capisco perchè si debbano accantonare gli impegni già in programma senza riprendere da quanto lasciato in sospeso e da quegli stessi spettacoli di qualità già previsti. Non comprendo questo arrembaggio verso le nuove forme di espressione e il caos che sta nascendo. Mi sembra la lotta tra tante televisioni libere pronte a mettere in onda tanta roba brutta, propagandandola come roba rivoluzionaria.
Occorre, invece, mettere in campo una seria organizzazione che visto gli esempi di oggi non ci faccia temere per il futuro. Non condivido, infine, la scelta del Ministero che, poco alla volta sta annullando il teatro privato favorendo un teatro di consumi. Purtroppo non ho una visione positiva del futuro e non approvo questa frenesia di accantonare il passato sostituendolo con dei concetti moderni come, ad esempio, quelli indicibili rappresentati dal web e dai social» .
Riesce a immaginare delle soluzioni e in prospettiva i provvedimenti più auspicabili?
«Occorre riunirsi intorno a un tavolo di lavoro con i funzionari dei ministeri chiamando a raccolta per esporre i problemi, oltre che i direttori dei teatri, soprattutto gli attori e i lavoratori. Occorre far parlare i rappresentanti della categoria sul campo e non quei soliti personaggi già “abboffati” di denaro pubblico.
Bisogna interpellare la categoria che non sa più da che parte guardare. Ormai l’impresario, vista la situazione, non esiste più e a prendere il sopravvento saranno le compagnie di fortuna dove i lavoratori dovranno accontentarsi di fare la fame. In Teatro chi sta al comando già non pagava prima, figuriamoci adesso. Si è in mano a una pirateria economica (a parte qualche dovuta rara eccezione) e ciò continuerà in maniera assoluta finchè certa gente fingerà di caricarsi di responsabilità favorendo il crearsi di un vero e proprio arrembaggio».
Quali progetti e impegni l’attendono per l’auspicata ripresa?
«Noi avevamo in cantiere tanti progetti pronti da realizzare con lo Stabile ma ormai penso che se ne parlerà nelle stagioni future. Avremmo dovuto anche riprendere la tournée con uno spettacolo di successo come “Erano tutti miei figli” di Miller ma sia a Catania che a Palermo, dove saremmo dovuti arrivare, pare sia tutto da rifare ai danni di quanto già stabilito.
Devo ancora capire perchè si decide di abbandonare la serietà dell’impegno preso, scegliendo nuovi orizzonti capaci solo di offrire un teatro spazzatura. In programma, tuttavia, ci sarebbero ancora i lavori, “Ezra in gabbia o il caso Ezra Pound” tratto dagli scritti del grande ma sconosciuto poeta americano e nato con il “Benevento Città Spettacolo 2020” e infine, la messinscena del giallo di Agatha Christie “10 piccoli indiani” previsto, sempre per l’anno prossimo, al Teatro Ciak di Roma».