Diritti civili e spose bambine: il Marocco dice “no” all’Onu
Il Marocco non accetta parte delle raccomandazioni Onu sui diritti civili, perché “in contrasto con i principi fondanti della Nazione”.
Di Maria Sordino – Ogni Stato membro dell’ONU è sottoposto ogni cinque anni a un EPU, l’Esame periodico universale, durante il quale altri Stati membri analizzano e mettono in evidenza la situazione dei diritti umani sul territorio. Quest’anno, nel rapporto periodico sul grado di tutela delle libertà civili, il Consiglio dei diritti dell’Onu ha indicato al Marocco una serie di riforme da attuare. Delle 244 raccomandazioni ricevute, solo 191 sono state accettate. Tra le sollecitazioni rifiutate, oltre la metà sono state rigettate in modo assoluto, poiché considerate pratiche consolidate nel paese e perciò lecite. Questi i punti più importanti: il governo non aprirà al riconoscimento giuridico dei figli nati fuori dal matrimonio e alla conseguente possibilità di utilizzare il test del Dna per attribuire la paternità. Inoltre, non rimuoverà dai documenti di identità l’indicazione di figli illegittimi. Nessun limite di età per i matrimoni, per non intaccare la pratica delle spose bambine. Rimarrà lecita la poligamia, mentre le donne continueranno a essere escluse dalla successione ereditaria. La violenza coniugale seguiterà a non essere reato. Questa volta il Paese nordafricano sembra fare un passo indietro nel processo di modernizzazione: nell’ultimo esame periodico dell’Onu, nel 2012, sulle 148 raccomandazioni ricevute, ne aveva rigettate solo 8. In particolare, la questione femminile sembra non essere una priorità per il Marocco, dove l’enorme disparità tra sessi non accenna a migliorare, soprattutto lontano dalla capitale o da altre città-vetrina come Tangeri e Marrakech, dove le donne marocchine continuano a scontrarsi con una mentalità arcaica e patriarcale, che lascia poco spazio all’emancipazione. Spesso, anche in qualità di vittime, si trovano in una posizione di inferiorità davanti al giudice, sia a causa della discriminazione veicolata dai codici, sia per la mentalità dei magistrati, restii ad applicare le poche leggi volte alla tutela femminile. Al di là delle specifiche violenze di genere (stupro, molestie sessuali, matrimoni precoci), a spaventare maggiormente gli esperti è la discriminazione trasversale che priva le donne di ogni possibilità di indipendenza e riscatto all’interno della comunità. Come viene evidenziato nel report, infatti, i nodi cruciali da risolvere per colmare il divario riguardano soprattutto l’accesso all’istruzione (l’analfabetismo femminile sfiora il 50%), alla sanità, alla vita economica e politica del paese. E a poco è servito l’inserimento all’interno della nuova compagine governativa di 6 donne su 39 ministri e sottosegretari. Altro capitolo nodoso è rappresentato dall’omosessualità, che continua ad essere considerata reato: l’attività sessuale con persone dello stesso sesso può essere punita con una pena che va da 6 mesi a 3 anni di reclusione e una multa da 120 a 1200 dirham (poco più di 273 euro). Nelle situazioni migliori, infatti, è previsto il carcere, ma spesso le pagine di cronaca locali rimandano a tutt’altro: aggressioni, pestaggi e addirittura tentativi di linciaggio, perché a reprimere l’omosessualità non sono solo le autorità marocchine, ma i cittadini stessi. C’è poi il fenomeno delle spose bambine che, in Marocco, non sembra arrestarsi (leggi anche 2ANews.it del 14/09/2017). La Convezione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza condanna il matrimonio sotto i 18 anni e il Marocco, 11 anni fa, aveva firmato una riforma mettendosi in linea con i dettami internazionali, risultando all’avanguardia rispetto agli altri paesi culturalmente vicini. Di fatto, però, non ha mai reso concreto ciò che sulla carta era stato definito. La stessa legge, infatti, prevede una serie di eccezioni e deroghe che ne minano l’efficacia. Il fenomeno è presente tanto nelle zone urbane quanto in quelle rurali. Non è quindi una scelta legata solo alla condizione economica, ma è la conseguenza di una tradizione difficile da scardinare e che vede la donna «ostaggio» delle decisioni prese dalla famiglia. Le Ong femminili del paese sono deluse e pronte a dare battaglia.