Sono “non meno di 37mila” le tonnellate di rifiuti che la Ipb Italia Srl e altre otto società avrebbero trafficato e smaltito illegalmente tramite intermediari complici, per un profitto complessivo di oltre un milione di euro. La stima è stata fatta dai poliziotti della squadra mobile di Milano coordinati, insieme con i carabinieri del Noe, dal procuratore della Direzione distrettuale antimafia (Dda) meneghina Alessandra Dolci, e dai sostituti Silvia Bonardi e Donata Costa, nel corso delle indagini sul gigantesco incendio doloso divampato la sera del 14 ottobre dell’anno scorso (e definitivamente spento il 19 ottobre) che ha interessato circa 18mila metri quadri dell’area di via Chiasserini 19/21 a Milano, dove bruciarono 13mila metri cubi di “rifiuti secchi, composti prevalentemente da materiale plastico”.
Indagini che questa mattina hanno portato all’esecuzione di una misura cautelare nei confronti di 15 persone, quasi tutte pregiudicate, alcune delle quali per reati specifici. Sempre secondo quanto riferito dagli investigatori, circa il 38% di queste 37mila tonnellate sarebbero “rifiuti indifferenziati urbani” provenienti dalle provincie di Napoli e Salerno.
Accusati a vario titolo di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, attività di gestione dei rifiuti non autorizzata e realizzazione di discariche abusive, intestazione fittizia di beni e calunnia, in carcere o ai domiciliari sono finite questa mattina 12 persone, i vertici della Ipb Italia srl (azienda che aveva in affitto l’area andata a fuoco a Milano) e quelli di altre società coinvolte dalle indagini. Per tre persone è stato disposto l’obbligo di dimora e altre due sono indagate a piede libero. Il gip del capoluogo lombardo Giuseppina Barbara che ha firmato le misure, ha disposto anche il sequestro preventivo del 100% del capitale sociale delle società Ipb Italia srl, Immobiliare Priscilla srl, Tecno Group Costruzioni srl, Winsystem Groups srl, Gealog srl e Wastesolution srl, e il sequestro preventivo, ai fini di confisca, di 13 mezzi pesanti, tra cui autocarri, rimorchi e muletti.
Le società coinvolte operavano principalmente nel Nord Italia e, tramite intermediari complici reperivano i rifiuti da alcune aziende che eseguivano la raccolta o a loro volta erano intermediarie, che pagavano una media di circa 150 euro a tonnellata per il trasporto e lo smaltimento a norma di legge. I rifiuti invece venivano accumulati ed abbandonati all’interno di enormi capannoni. Oltre alle 13mila tonnellate stoccate in via Chiasserini, nel corso dell’indagine “Velenum” della Dda di Milano, sono stati scoperti altri tre siti riempiti di immondizia: in via Lugagnano 41 a Verona (11mila metri cubi di rifiuti), in via delle Industrie 16 a Fossalta di Pieve, nel Veneziano (10.600 metri cubi) e in via Cavetta a Meleti, nel Lodigiano (120 metri cubi).
Tre giorni prima del rogo, l’11 ottobre 2018, i tecnici della Città metropolitana e gli ufficiali di pg dei vigili urbani avevano effettuato in sopralluogo in via Chiasserini ma pur constatando la presenza dell’enorme numero di ecoballe non avevano proceduto al sequestro dell’area. Proprio l’avvenuta attività di controllo, ha portato il gip Barbara a scrivere: “Allo stato non sono ancora stati individuati i responsabili ma è altamente probabile che l’incendio sia servito a smaltire illegalmente, bruciandoli, i rifiuti ivi stoccati per i sopravvenuti ostacoli a trasferirli in altri siti oppure a nascondere le prove del traffico di rifiuti svolto dagli indagati, dopo (…) la scoperta dell’ingente quantità di rifiuti ivi collocati abusivamente”. Per nascondere i rifiuti stoccati, davanti ai capannoni in via Chiasserini, erano stati posti in verticale tre grossi container.
Articolo pubblicato il: 27 Febbraio 2019 17:38