domenica, Dicembre 22, 2024

Mimmo Borrelli: con le toppe di Franceschini i Teatri Nazionali hanno pagato i loro debiti

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Giuseppe Giorgio
Giuseppe Giorgio
Caporedattore, giornalista professionista, cura la pagina degli spettacoli e di enogastronomia

Mimmo Borrelli, interviene nella difficile discussione circa il teatro vittima dello stop ancor più che del Coronavirus.

A pieno merito considerato come uno dei più grandi teatranti italiani viventi, anche l’attore, poeta, regista, drammaturgo e scrittore, Mimmo Borrelli, interviene nella difficile discussione circa il teatro vittima dello stop ancor più che del Coronavirus. Originario di Torregaveta, epicentro dei Campi Flegrei dove, vive, abita ed ambienta le sue opere scritte in decine di migliaia di versi impetuosi e travolgenti, è lui a porre la stessa foga nell’ intervenire sull’intricata questione.

Tant’è che pensando ai tantissimi suoi prestigiosi premi ottenuti sul campo e al valore di un’esperienza maturata attraverso importanti collaborazioni con grandi artisti e con il Teatro Stabile di Torino, con il Teatro Mercadante Stabile di Napoli, con la sua compagnia “Marina Commedia Società Teatrale” e con il Teatro Piccolo di Milano, più che mai decise, circostanziate e fuori dal coro, appaiono le sue considerazioni.

«I teatri – ha detto Mimmo Borrelli- devono tornare a fare realmente cultura, cosa che adesso avviene davvero in scarsa misura. E ciò può avvenire solo trasformando i teatri non aperti al pubblico in “casa degli artisti”. Qualcuno ci sta provando ma in modo ritardato. Occorreva fermare tutto, aspettare il vaccino e programmare una stagione in cui mettere in prova dei progetti in modo molto serio cercando, anche in collaborazione con il Ministero, di eludere il Fus.

Purtroppo Franceschini ha commesso una serie di errori tra cui quello di dare il Fus ai teatri che però non hanno avuto l’obbligo di pagare gli attori. Ciò è stata una scorrettezza nei confronti degli artisti e dei lavoratori sfociata nel tradimento dell’articolo 19 comma 5. Una vera tragedia che, dopo un ping pong tra Franceschini capace solo di mettere toppe e Conte, divisi tra contributi e licenziamenti, ha visto, come reazione, soltanto una trentina di attori italiani fare causa su circa 70/80mila contrattualizzati che invece non hanno avuto il coraggio di rivolgersi ai legali per una lettera di mora.

La questione del Fus, se da una parte è sembrata una mossa del Governo per aiutare i Teatri Nazionali, dall’altra, non ha tenuto presente che gli stessi, però, avrebbero dovuto produrre cultura. Non pensiamo, per il momento, allo sbigliettamento al pubblico e mettiamoci in prova per un anno con progetti seri, capaci di rivalutare chi scrive di teatro e gli attori che sono in mezzo a una strada e non hanno neanche la forza e i soldi per adire le vie legali. In questo momento è tutta un’occasione persa. Ci sono state delle situazioni felici per le quali non faccio i nomi e altre che hanno visto l’Agis, gli Enti Lirici e Teatri Nazionali compiere delle vere azioni criminali utilizzando i Fus per pagare i loro debiti. Lo stesso è accaduto per i teatri privati dove, in molti casi, il Fus è servito addirittura per finire in utile».

Quali sono i suoi progetti futuri e in che modo intende attendere la normalità?

«Finchè non ci sarà una certezza, mi fermerò, in quanto per il teatro ritengo indispensabile il contatto con il pubblico. Il teatro deve essere equiparato allo sport, e come nelle società sportive dovrebbe avere a disposizione ambulanze, presidi medici, controlli e tamponi per mettere gli attori in condizione di toccarsi e di potersi abbracciare. Altrimenti il teatro non più ha senso e diventa il solito intrattenimento alto borghese, trasformandosi in una macchina che va avanti in modo sconsiderato. Ho anche interrotto la scrittura, visto che mi sto pure dedicando a un progetto cinematografico in modo impegnativo di cui non posso ancora anticipare nulla».

In conclusione, quali sono le sue esigenze attuali e cosa intravede per il futuro?

«In questo momento per me non c’è esigenza di fare cose nuove. In questo contesto bisognerebbe fare solo repertorio ma visto che non è possibile è meglio attendere. L’ho già detto altre volte, adesso non ha senso fare cose nuove. Purtroppo, il teatro non sarà possibile farlo finchè non ci sarà il vaccino. Personalmente non condivido neanche la soluzione dei monologhi in quanto, il teatro secondo me si fa in collettività. Il teatro, ripeto, in un futuro prossimo dovrebbe riguadagnare la capacità di produrre cultura e stare vicino ai lavoratori senza esercitare solo un compito assistenziale per mandare avanti delle strutture al servizio dell’alta borghesia dove tutto deve andare per forza bene. Bisognava fermarsi, analizzare bene il tutto e finanziare il teatro con i contributi Fus facendo lavorare le persone anche solo con le prove».

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