Molestie sessuali nello spettacolo: un anno fa usciva Elle con la Huppert
Di recente in Francia si è sollevato un acceso dibattito tutto femminile sulle ragioni del movimento internazionale #MeToo e #TimesUp, protagonista nei mesi passati di scandali e rivelazioni hollywoodiane e soprattutto agli ultimi Golden Globes, eppure proprio di questi tempi in Francia e da noi usciva l’anno scorso un film di Paul Verhoven sul tema delle molestie: “Elle” con Isabelle Huppert.
Questo thriller incalzante e psicologico, giocato sulle sfumature sadiche e sadomasochistiche dei rapporti morbosi e delle relazioni sessuali, ha fatto guadagnare alla sua attrice, mai così brava, la prima candidatura agli Oscar nel 2017, nonché una sfilza di premi dai Golden Globe agli Independent Spirit Award, versione comunista di zio Oscar.
Impegnata in una performance maiuscola, tutta giocata su sottrazioni e sguardi folgoranti, la Huppert è Michèle, una di quelle donne che niente sembra poter turbare. A capo di una grande società di videogiochi, gestisce gli affari come le sue storie sentimentali: con il pugno di ferro. Ma la sua vita cambia improvvisamente quando viene aggredita in casa da un misterioso sconosciuto. Violenza che racconta agli amici ma non denuncia alla polizia, e non per paura, bensì per motivi ancora più oscuri che affondano nel suo passato familiare, impastato di dolore e vergogna, e macchiato dal pregiudizio e dalla colpa dei padri che perseguita il destino dei figli. Inizia però un’ossessiva indagine personale per scoprire l’identità del suo aggressore.
Una ricerca che la porterà a intraprendere una liaison proprio con il suo bel vicino di casa – ritratto da Laurent Lafitte de la Comedie Française -, annoiato forse dalla moglie cattolica e in cerca di esperienze torbide che andranno inevitabilmente a degenerare, fino all’epilogo spiazzante del finale, tutto costruito sulla suspence e il colpo di scena catartico. Michèle è una donna coraggiosa, separata dal marito e con un figlio pilotato dalla giovane nuora, che non esita a dire la sua, spesso con cinismo disilluso, più che malizioso o cattivo. Una figura femminile forte e allo stesso tempo sensibile, pronta anche ad abbassare la guardia e mettere da parte le sue difese per un attimo, ma anche capace di scorgere, lì dove la ragione ha abbandonato il campo e i suoi protagonisti, i contorni di un affaire malsano e sporco che non più coltivare.
La regia di Verhoeven, asciutta e decisa, si affida completamente alla sua interprete, capace di reggere 130 minuti e di non farli sentire allo spettatore in sala, avvincendolo e legandolo, come fa con gli uomini della sua vita, al suo fascino ambiguo e irresistibile. La Huppert, che stando alle parole del critico Gianni Canova sta al cinema europeo come Meryl Streep sta a quello americano – quest’anno in gara entrambe per la migliore attrice agli Academy Awards, statuetta vinta poi dalla giovane Emma Stone di La La Land -, ha regalato interpretazioni memorabili nel corso degli anni, basti pensare a La Pianiste con cui vinse a Cannes, ma un ruolo così non si vedeva da tempo. Lo script ha spaventato le colleghe internazionali, ma non lei.
L’ultima, pazzesca follia del cineasta olandese riesce a essere oscura, seducente, perturbante, e il merito è soprattutto di Isabelle, che incarna una libertà da brividi, fragile e (pre)potente, vera e inventata, umanissima e quasi bionica, vittima e carnefice, salvata e dannata. In Francia si è aggiudicata anche il Cesar, nella pioggia di premi che ha accompagnato il film, tra i più appassionanti e contraddittori del cinema francofono degli ultimi tempi.
Giornalista. Ha partecipato negli ultimi anni a giurie di festival cinematografici (come il SocialWorld Film Festival di Vico Equense), concorsi fotografici e mostre collettive. Recensioni film, serie TV, teatro, eventi, attualità.