Movimento 5 Stelle: il traguardo più realistico da raggiungere sembra essere un governo della “non sfiducia” (modello 1976).
Sono passati quattro giorni dalle ultime elezioni politiche, che hanno visto la grande affermazione del Movimento 5 Stelle (specialmente nel Sud Italia). Tuttavia, i pentastellati non hanno i numeri per formare un nuovo governo. Lo sa perfettamente il candidato premier Luigi Di Maio, il quale, premettendo che il Movimento dovrà avere un ruolo centrale nella decisione finale, ha aperto a un dialogo con le altre forze politiche per giungere a una soluzione. Lo sanno molto bene anche tutti gli altri pentastellati, che non potranno certamente imporre un’intera squadra di ministri (presentata prima del voto) ai futuri partner che daranno l’eventuale appoggio esterno. Perché, al momento, sebbene lo stesso Di Maio abbia parlato di inizio della terza Repubblica, quella “post-ideologica”, il traguardo più realistico da raggiungere sembra essere un governo della non sfiducia, di “prima repubblicana” memoria. Il “modello” da cui prendere ispirazione sarebbe infatti l’esecutivo risalente al 1976, quando l’allora primo ministro Giulio Andreotti governò per due anni senza avere la maggioranza e grazie all’astensione del Partito Comunista Italiano guidato da Enrico Berlinguer. Il M5S ha capito che può solo puntare a un governo di minoranza, che è obbligato dunque a tenere tutti i canali aperti, da quello con il Partito Democratico (ma le “dimissioni dimezzate” di Matteo Renzi hanno reso molto più accidentato un eventuale dialogo) a quello con la Lega di Matteo Salvini (altro grande trionfatore dell’ultima tornata elettorale). Ciò porterebbe con molta probabilità a sacrificare pezzi della squadra presentata in pompa magna all’Eur di Roma. Sono comunque fasi di studio, con le prime indicazioni che saranno chiare nel momento in cui dovranno essere eletti i presidenti di Camera e Senato (ovvero il prossimo 23 marzo). Solo allora se ne saprà di più sul prossimo governo italiano.