L’ex calciatore Vincenzo Iaquinta, tra gli imputati del processo Aemilia (il più grande procedimento mai celebrato nel Nord Italia contro la ‘Ndrangheta, che ha visto imputate 148 persone), è stato condannato in primo grado a due anni di reclusione (la Dda aveva chiesto per lui una condanna a sei anni).
L’ex attaccante di Udinese e Juventus (nonché campione del mondo con l’Italia a Germania 2006), è imputato per reati relativi a cessione di armi. Il padre, Giuseppe Iaquinta, era accusato di associazione mafiosa ed è stato condannato a 19 anni.
“Ridicoli, vergogna” hanno gridato padre e figlio uscendo dall’aula del Tribunale di Reggio Emilia (mentre era ancora in corso la lettura del dispositivo).
All’esterno del tribunale, l’ex calciatore si è così sfogato: “Il nome ‘Ndrangheta non sappiamo neanche cosa sia nella nostra famiglia. Non è possibile. Andremo avanti -ha dichiarato Iaquinta- Mi hanno rovinato la vita sul niente perché sono calabrese, perché sono di Cutro. Io ho vinto un Mondiale e sono orgoglioso di essere calabrese. Noi non abbiamo fatto niente perché con la ‘ndrangheta non c’entriamo niente. Sto soffrendo come un cane per la mia famiglia e i miei bambini senza aver fatto niente”.
Articolo pubblicato il: 31 Ottobre 2018 17:15