La parola “rete” può avere molti significati nella lingua italiana. Essa è presente, tra gli altri usi, nel lessico calcistico come sinonimo di gol o in quello dei pescatori per indicare un loro strumento importante. Essa può però anche indicare un gruppo di scrittori che con entusiasmo uniscono la propria creatività per un libro di racconti: è il caso della raccolta Non ci resta che scrivere (ed. La Bottega delle parole).
Curata da Mario Emanuele Fevola e Francesco Spiedo, questa raccolta si inserisce in un filone caro alla casa editrice di San Giorgio a Cremano, sempre vogliosa di dare spazio ai giovani talenti della scrittura: “Da sempre -ha detto a 2A News l’editrice Miryam Gison– l’obiettivo de La Bottega delle parole è quello di creare una rete sempre più ampia di “parole e possibilità”. Fin dalla nostra costituzione abbiamo lavorato affinchè giovani scrittori potessero affacciarsi al mondo dell’editoria. “Non ci resta che scrivere” è stato quindi un progetto che non potevamo non sposare! In linea con la nostra mission è stato uno dei “figli” più voluti e amati di cui andiamo molto fieri”.
La varietà dei temi è davvero notevole, oltre che piacevole. Ad esempio, si passa dal “sopraffino nonsense” de “L’orso” di Gianluca Calvino a una storia di amore e migranti in “Ancora esilio” di Alfredo Carosella, fino a una particolare seduta di psicanalisi in “Per paura potea perire” di Paquito Catanzaro.
Oppure, dal superamento delle proprie paure attraverso la scrittura in “La metamorfosi della paura” di Anemone Ledger si passa alla riflessione sugli eccessivi anglicismi nella lingua italiana de “Il tribunale delle parole” di Laura Oppes.
Fino a quando i libri mostrano tutta la loro “sensibilità”, come in “L’attesa” di Francesco Spiedo, dove viene raccontata la loro “permanenza” durante una fiera letteraria. In fondo, questa raccolta può essere vista anche come una difesa dei libri, in un periodo nel quale la letteratura e la lettura in generale sembrano in forte crisi.
Articolo pubblicato il: 26 Febbraio 2019 16:35