Nelle sue opere lo scultore Domenico Sepe riesce a immortalare con forza e vitalità il bello facendosi paladino di una forma espressiva pronta a superare la barriera del tempo.
Un viaggio nell’anima quello dello scultore Domenico Sepe. Un percorso costellato di materia da plasmare e forgiare teso al raggiungimento di un’arte fatta di pura poesia e bellezza. Raro interprete del vero e costantemente pervaso dalla necessità di recuperare la tradizione e il mondo classico, Sepe riesce a immortalare con forza e vitalità il bello facendosi paladino di una forma espressiva pronta a superare la barriera del tempo.
Da sempre animato da un grande amore per l’antico, pur non esitando dinanzi ai più moderni linguaggi artistici, Sepe ha esposto nelle più importanti gallerie internazionali legando negli anni le sue opere ad alcuni dei luoghi più rappresentativi della nostra nazione, non ultimi quelli legati a Matera, Capitale Europea della Cultura 2019. Elevatosi grazie a una scultura ricca di vigore e d’intensità creativa agli onori della critica, alla vigilia della prossima importante mostra a Castel dell’Ovo, ripercorre la sua carriera tra ricordi ed emozioni.
Come nasce il Domenico Sepe artista e quali sono state le suggestioni capaci di consacrarla alla scultura?
«La prima suggestione è rappresentata dal mio viaggio in Grecia e dalla visita al Partenone. È stato questo il mio primo, vero approccio con l’arte, con la bellezza greca, con la statuaria greca e soprattutto con la grandezza architettonica delle colonne. Un insieme di emozioni che hanno aperto il mio rapporto con la classicità. Ho avuto una formazione classica: dal liceo artistico all’Accademia in scultura con il maestro Giovanni De Vincenzo. Però ho iniziato presto e già alle scuole medie ho avuto un rapporto straordinario con il mio professore di Arte. La mia preparazione, tuttavia, si amplia con la frequentazione di botteghe importanti per quanto riguarda la fusione. Sin da bambino e da ragazzo ho amato la scultura a cera persa e il bronzo. Fondamentale è risultata la mia collaborazione in alcune fonderie artistiche in particolare nella Chiurazzi, dove ho anche realizzato un monumento. Un percorso formativo, il mio, canonico scolastico ma anche fatto di esperienze di vita che mi hanno accompagnato in tutto il periodo di studio».
Cosa rappresenta per lei l’Arte?
«L’arte nasce come esigenza di comunicazione, l’arte è comunicazione, lo è stata fin dal principio, dalle origini dell’uomo. È come se fosse uno specchio magico che racconta tutto il percorso evolutivo dell’uomo attraverso la sua manualità e il suo ingegno fino a giungere ai tre grandi linguaggi, pittura, scultura e architettura. Per me oggi l’arte continua a essere un grande strumento di comunicazione a disposizione dell’uomo. Attraverso molti modi, non solo pittura, scultura e architettura, già dalla fine dell’Ottocento sono nati nuovi linguaggi in evoluzione come il cinema, la fotografia e, parlando del presente, la digital art. Tutte forme di comunicazione importanti, strumenti divini, doni che l’uomo possiede per poter comunicare con un modo di esprimersi diverso dalla parola».
Come descriverebbe l’arte intesa come mezzo di comunicazione nel tempo?
«L’arte è un’espressione e l’artista fin da principio ha utilizzato la fisicità umana, espressa mediante il figurativo. O meglio, mediante un’esaltazione del bello e della fisicità nel dramma ma anche nella bellezza. Un’opera che racconta per esempio la tristezza, la drammaticità di un evento, come può essere la Guernica di Picasso, dove c’è la deformazione dell’essere umano, non è seconda a un’opera di Canova che racconta una bellezza straordinaria alla greca. Per me l’arte è un linguaggio puro, assoluto, che non ha un’etichetta. Personalmente penso che nel nostro tempo la fisicità umana espressa nell’arte continua a raccontare bellezza e concetto essendo piena e universale. Ho un’unica visione dell’arte, una visione ampia come linguaggio, nell’espressione contemporanea la fisicità umana continua forse a essere l’elemento ancora centrale e lo sarà per sempre probabilmente».
Come definirebbe il dialogo tra le Arti?
«Il dialogo tra le arti è un incontro tra anime, tra universi perché l’arte è un linguaggio universale e quindi, così come la musica può dialogare con la scultura, la poesia può dialogare con la pittura. Spesso definiamo un’espressione figurativa bella quanto una poesia e viceversa. Il dialogo tra le arti lo interpreto come una fusione. Anzi un unico grande universo che mediante sfumature riesce a trasferire nell’individuo emozioni, sentimenti e bellezza. E il libro d’arte: Domenico Sepe. “La materia e l’eterno” ne è una dimostrazione.
Nasce proprio da questa fusione stavolta simboleggiata dall’incontro con Daniela Marra e dalla sua lettura spirituale di ciò che lei vede e sente nella scultura. Quando parlo di lettura spirituale, parlo di una lettura non visibile. Una lettura percettiva di quello che l’autrice ha avvertito con le mie sculture. Il dialogo nasce quasi come l’esigenza di dover rendere eterna attraverso la parola scritta questo rapporto di bellezza tra linguaggi. Il testo è una sintesi naturale dell’incontro tra l’artista e la scrittrice che riesce a cogliere degli aspetti fin’ora mai messi in risalto. A me è piaciuto molto questo tipo di approccio. Un avvicinamento che rende giustizia letteraria al bello, attraverso una polifonia di suggestioni culturali. La museologa Daniela Marra racconta l’anima, l’invisibile, con una lettura profonda stratificata, ma anche lirica e storiografica».
Quali sono i suoi progetti futuri e i prossimi impegni?
«Tra i progetti futuri immediati c’è una mostra che racconta l’evoluzione e la creazione del “Cristo Rivelato”. Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre io e Daniela Marra saremo nella “Sala delle Carceri” a Castel dell’Ovo con la presentazione dell’opera caratterizzata da molti dialoghi con le arti. Lavorerò a un’opera che racconta un simbolo, una figura legata a Napoli, che ora non posso svelare. Sarà un progetto davvero straordinario e interessante tra l’altro pensato e realizzato in collaborazione con Daniela Marra. Un rapporto tra me artista e l’apprezzata museologa che ha dato vita a progetti fondamentali e a incontri intellettuali presto concretizzati in sculture. Questa nuova opera per il 2022, di grandi dimensioni, nasce proprio da un nostro incontro intellettuale in bottega, dove partoriamo sempre grandi idee grazie a una serie di suggestioni artistiche. Ma per ora non posso svelare altro. Rimaniamo concentrati sulla mostra di novembre, grazie anche a Ciro Ciccone, promotore dell’esposizione dell’opera e a Pietro Mingione con il suo contributo artistico».