Al Teatro Augusteo da venerdì a domenica 23 marzo Paolo Caiazzo in scena con la sua nuova commedia “I promessi suoceri”.
Nuovo appuntamento al Teatro Augusteo dove, da venerdì a domenica 23 marzo arriverà Paolo Caiazzo con la sua nuova commedia “I promessi suoceri”. Un’opera che, tra battute e situazioni esilaranti, trasporta il pubblico in un’ambientazione sospesa tra presente e passato, omaggiando la commedia all’italiana degli anni ’70 e ’80.
Caiazzo, autore, attore e regista dello spettacolo, si avvale di un cast che oltre a Maria Bolignano vede in palcoscenico Antonio D’Avino, Yuliya Mayarchuk, Domenico Pinelli e Giovanna Sannino. Per il pubblico uno spettacolo che promette risate e spunti di riflessione e noi, per scoprire di più su questa nuova avventura teatrale, abbiamo intervistato Paolo Caiazzo, che ci ha raccontato la genesi del lavoro e le sue ispirazioni.
Paolo, “I promessi suoceri” racconta un momento cruciale nella vita di un padre: il passaggio da papà a suocero. Da cosa nasce l’idea di questa commedia?
«L’idea nasce dalla volontà di raccontare con ironia una fase della vita che può essere delicata per un padre. Antonio, il protagonista, si ritrova a dover accettare che sua figlia Lucia abbia trovato un altro uomo a cui dedicare il suo amore. Ma il fatidico incontro con i genitori del futuro sposo, anziché rassicurarlo, scatena un turbine di eventi imprevisti, portandolo a una riflessione paradossale: “Questo matrimonio non s’ha da fare».
Il titolo richiama ironicamente “I promessi sposi” di Manzoni. In che modo l’opera letteraria ha influenzato la sua scrittura?
«La citazione manzoniana è sia un omaggio che un espediente per sottolineare il tono paradossale della vicenda. Nel mio spettacolo, non sono le forze esterne come Don Rodrigo a ostacolare il matrimonio, ma le dinamiche familiari e i segreti del passato che emergono inaspettatamente. C’è anche un richiamo alla commedia scarpettiana, con riferimenti a “Miseria e Nobiltà”, dove le differenze sociali tra le due famiglie alimentano sospetti e incomprensioni. In particolare, una delle due famiglie mostra un benessere equivoco, tale da far persino immaginare collegamenti con ambienti poco limpidi».
Lei ha ambientato la commedia nel presente, ma con un forte richiamo agli anni ’80. Perché questa scelta temporale?
«Ho voluto creare un’atmosfera che evocasse gli anni ’80, anche se la storia si svolge oggi. Quegli anni rappresentano un periodo di grande fermento sociale e culturale, ma anche un’epoca in cui le famiglie vivevano momenti simili con dinamiche ben riconoscibili. L’idea, rafforzata anche dallo stile grafico della locandina, è quella di trasportare il pubblico in un mondo che richiama quel decennio, come se il tempo si fosse fermato e quelle emozioni fossero ancora vive e attuali».
La commedia all’italiana è un riferimento importante per questo spettacolo. Quali sono stati i suoi modelli ispiratori?
«Mi sono ispirato a quel cinema che, oltre a far ridere, raccontava la società con acume e ironia. Il mio riferimento non è solo la comicità immediata di Pierino, Fenech, Buzzanca o Montagnani, ma anche la capacità di attori come Alberto Sordi e Monica Vitti di rappresentare tic, vizi e virtù dell’italiano medio. Ho voluto recuperare quello spirito, portandolo in scena con personaggi autentici e situazioni che il pubblico può riconoscere».
Nella commedia emergono tematiche legate alle dinamiche familiari e ai segreti nascosti. Quanto c’è di autobiografico in questa storia?
«Come in ogni mio lavoro, c’è sempre qualcosa di vissuto o ascoltato nella realtà. Il conflitto tra consuoceri, le aspettative su un matrimonio perfetto, i non detti che emergono all’improvviso sono elementi che chiunque ha sperimentato o sentito raccontare. Ho cercato di rappresentare quel microcosmo familiare con autenticità, aggiungendo solo un pizzico di fantasia e comicità».
Il finale, senza svelarlo, sembra condurre a una conclusione sorprendente. Cosa vuole lasciare al pubblico quando si chiuderà il sipario?
«Voglio che il pubblico esca dal teatro divertito, ma anche con un sorriso di consapevolezza. “I promessi suoceri” non è solo una commedia brillante, ma un modo per riflettere sulle nostre paure, sui pregiudizi e sui cambiamenti che la vita ci impone. Ridendo di Antonio e dei suoi timori, forse possiamo riconoscerci e, chissà, affrontare con più leggerezza le nostre piccole grandi sfide quotidiane».