Ultime notizie sulle Pensioni: i possibili scenari della riforma del Governo M5S-Lega.
Una delle priorità del Governo M5S-Lega sarà quella riguardante le pensioni, con il superamento della legge Fornero come obiettivo finale. Secondo le prime indiscrezioni, la riforma allo studio dell’esecutivo “gialloverde” potrebbe avvantaggiare gli impiegati pubblici per l’uscita anticipata, mentre potrebbe portare ad un’uscita più lontana nel tempo le donne e coloro che hanno avuto lunghi periodi di disoccupazione e cassa integrazione. L’esperienza dell’Ape social sembra vicina all’archiviazione, come anche la pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica prevista ora per i lavoratori precoci impegnati in attività gravose o per quelli e che pur contando su questo numero di anni di contributi ora sono disoccupati. Si lavora a un’ipotesi di quota 100 con almeno 64 anni di età (e quindi almeno 36 di contributi) o un’uscita con 41 anni e mezzo di contributi escludendo dal computo però i contributi figurativi (includendo al massimo due, tre anni). “Il Mattino” riporta alcuni esempi di chi potrebbe guadagnarci o perderci nel 2019 rispetto alla situazione attuale:
Impiegato pubblico nato nel gennaio 1955 che lavora dal 1982
Potrebbe andare in pensione nel gennaio 2019, a 64 anni con 37 anni di contributi. Con le regole attuali resterebbe invece al lavoro fino al 2022, uscendo dopo i 67 anni di età dato che dovrebbe esserci un nuovo scatto per l’aspettativa di vita.
Donna ora disoccupata nata nel gennaio 1956 che ha lavorato dal 1985 al 2015
Se l’Ape social continuasse nel 2019 potrebbe chiedere a 63 anni e 5 mesi di avere il sussidio dato che ha esaurito da oltre tre mesi la Naspi, è disoccupata e ha almeno 30 anni di contributi. Le madri, al momento, hanno poi un maggiore sconto sui contributi per ogni figlio: un anno per figlio con un massimo di due anni. Con le nuove regole in arrivo, non avendo i contributi necessari alla quota 100, potrebbe dover aspettare i 67 anni andando quindi in pensione nel 2023 (a questo andrà aggiunta la nuova aspettativa di vita nel 2021 e nel 2023).
Lavoratore precoce nato all’inizio del 1960 che lavora dal 1978 con lunghi periodi di cassa integrazione, impegnato in attività gravose
Con le regole attuali uscirebbe nel 2019 con 41 anni e cinque mesi di contributi (l’anno prossimo scatta l’aumento di cinque mesi legato all’aspettativa di vita). Con le nuove regole dai 41 anni e mezzo di contributi necessari verrebbero esclusi alcuni anni di contributi figurativi previsti dalle regole sulla cassa integrazione, dovrebbe aspettare di avere 43 anni e tre mesi di contributi e uscire con la pensione anticipata.
Lavoratore nato nel 1956 impiegato in una grande azienda dal 1978 senza aver mai avuto periodi di contribuzione figurativa
Con le nuove regole andrebbe in pensione nel 2019 con 41 anni e mezzo di contributi. Con le regole attuali dovrebbe aspettare di raggiungere almeno i 43 anni e tre mesi di contributi uscendo nel 2021 (e subendo probabilmente un nuovo aumento dell’aspettativa di vita).
Pensioni “d’oro” (assegni superiori a 5mila euro netti)
Se scattano i tagli alle pensioni superiori ai 5.000 euro netti (altro obiettivo annunciato dal premier Conte) per la parte del trattamento non legata ai contributi versati l’assegno verrà diminuito del 5-6%. Ma se in contemporanea viene introdotta la flat tax, i “pensionati d’oro”, facendo parte della fascia reddituale più alta, ci guadagnerebbero comunque, con un vantaggio che potrebbe superare il 28% dell’importo netto attuale.