Una delle priorità del Governo M5S-Lega sarà quella riguardante le pensioni, con il superamento della legge Fornero come obiettivo finale. Secondo le prime indiscrezioni, la riforma allo studio dell’esecutivo “gialloverde” potrebbe avvantaggiare gli impiegati pubblici per l’uscita anticipata, mentre potrebbe portare ad un’uscita più lontana nel tempo le donne e coloro che hanno avuto lunghi periodi di disoccupazione e cassa integrazione.
Potrebbe andare in pensione nel gennaio 2019, a 64 anni con 37 anni di contributi. Con le regole attuali resterebbe invece al lavoro fino al 2022, uscendo dopo i 67 anni di età dato che dovrebbe esserci un nuovo scatto per l’aspettativa di vita.
Se l’Ape social continuasse nel 2019 potrebbe chiedere a 63 anni e 5 mesi di avere il sussidio dato che ha esaurito da oltre tre mesi la Naspi, è disoccupata e ha almeno 30 anni di contributi. Le madri, al momento, hanno poi un maggiore sconto sui contributi per ogni figlio: un anno per figlio con un massimo di due anni. Con le nuove regole in arrivo, non avendo i contributi necessari alla quota 100, potrebbe dover aspettare i 67 anni andando quindi in pensione nel 2023 (a questo andrà aggiunta la nuova aspettativa di vita nel 2021 e nel 2023).
Con le regole attuali uscirebbe nel 2019 con 41 anni e cinque mesi di contributi (l’anno prossimo scatta l’aumento di cinque mesi legato all’aspettativa di vita). Con le nuove regole dai 41 anni e mezzo di contributi necessari verrebbero esclusi alcuni anni di contributi figurativi previsti dalle regole sulla cassa integrazione, dovrebbe aspettare di avere 43 anni e tre mesi di contributi e uscire con la pensione anticipata.
Con le nuove regole andrebbe in pensione nel 2019 con 41 anni e mezzo di contributi. Con le regole attuali dovrebbe aspettare di raggiungere almeno i 43 anni e tre mesi di contributi uscendo nel 2021 (e subendo probabilmente un nuovo aumento dell’aspettativa di vita).
Se scattano i tagli alle pensioni superiori ai 5.000 euro netti (altro obiettivo annunciato dal premier Conte) per la parte del trattamento non legata ai contributi versati l’assegno verrà diminuito del 5-6%. Ma se in contemporanea viene introdotta la flat tax, i “pensionati d’oro”, facendo parte della fascia reddituale più alta, ci guadagnerebbero comunque, con un vantaggio che potrebbe superare il 28% dell’importo netto attuale.
Articolo pubblicato il: 6 Giugno 2018 16:14